Valerio Vecchi nasce il 26 febbraio 1994 a Mede, in provincia di Pavia, e fin da piccolo si diletta in spettacoli teatrali sotto l’ombra del campanile. È proprio dalla “gavetta” del teatro parrocchiale che prendono vita progetti ben più ambiziosi, il desiderio di essere parte integrante del mondo dello spettacolo vestendo i panni di attore e autore sul palco e, poi, quelli di autore e conduttore in tv.
Alcuni mesi fa sei tornato in libreria con Il sorriso degli elefanti (Le mille e una pagina editore) dopo il tuo primo romanzo La spettacolare storia di Ebenizer. Era pressante il bisogno di scrivere nuovamente?
“Direi non pressante, quanto ‘maturo’. I tempi erano maturi per far arrivare un nuovo messaggio, per comunicare. Come sempre il libro nasce da una esigenza. La mia è stata una ponderata evoluzione di situazioni vissute che hanno fatto progredire così la storia, i personaggi con un invisibile potere della magia e, come sempre, la sintassi del cuore”.
Un titolo indubbiamente curioso, raccontaci di più…
“L’elefante lo immagino come animale pacifico ma allo stesso tempo, per via delle sue grandi dimensioni, in grado di lasciare una grande impronta. È proprio lì che mi sono posto questa domanda: noi, come ‘comunicatori’, siamo in grado di lasciare quest’impronta? Ed è lì che il libro si radica nelle più profonde cave introspettive dell’essere umano. Quel peso, metafora anche di tutte le negazioni, delle porte prese in faccia, della dimenticanza della meritocrazia, sono certo lascerà un’impronta ancora più profonda, proprio come quella di un elefante. E infine? Gli elefanti sorridono? Certo che lo fanno. Lo fanno nella misura in cui siamo in grado di riscoprirci, reinventarci, rimetterci in gioco”.
La trama affronta, infatti, solidi valori con “schiaffi morali” contro una società che sembra essersi dimenticata della meritocrazia e che, disorientata, si chiede quale possa essere il futuro. Ne sei stato spesso vittima?
“Sono stato vittima dell’ignoranza. Diciamolo. Chi non ha un minuto per ascoltare le idee di un giovane ha già perso in partenza. La società è confusa, improvvisata, specialmente il mondo dello spettacolo affetto da contaminazioni social che intorbidiscono idee di editori responsabili e reti efficienti”.
Le donne sono al centro di questo libro. Che rapporto hai con loro?
“Sono le protagoniste della mia vita, come non renderle anche protagoniste del libro? La più profonda ispirazione nella stesura arriva dai momenti in campagna con la nonna, in casa con la mamma. Una vita fatta di sogni, di arrendevolezza e allo stesso tempo di piacevole riscoperta delle cose semplici. La figura materna gioca un ruolo chiave: le confidenze. Quello che una donna, una mamma, riesce a dire è sempre così intimo e sentito. In questo secondo volume infatti sono nati personaggi naturali che raccontano il lusso della semplicità facendo veicolare, appunto, un messaggio istintivo e talvolta irrazionale, ma sempre coerente”.
Valerio, tu ami l’ascolto. Allora, mi viene spontaneo chiederti se tu preferisca intervistare o essere intervistato?
“Non ho mai distinto i ruoli. Qualsiasi intervista, per me, deve essere intima, cogliere il più possibile il mio stato d’animo o quello dell’interlocutore, fondersi in una comunicazione efficace in grado di poter portare sempre cose belle e messaggi di speranza”.
In chiusura, tornando al romanzo, troviamo un libro come il primo da “mille e una notte”: fermiamoci, sogniamo e facciamolo in grande, alla fine, ci ritroveremo a sorridere. Quali sono i tuoi sogni?
“Prendo tutto quello che la vita ha da regalarmi. Per il futuro, voglio pensare solo ad essere sempre più ambizioso, avere la capacità di mettermi in gioco con responsabilità, rispettando gli impegni presi, le idee e le situazioni che mi impongono determinate scelte. Da giugno ritorno in tv, su Well Tv. Questo è un primo sogno che si realizza: una rubrica all’interno dello storico programma ‘Fatti e storie da raccontare’ ideato e condotto dalla giornalista Francesca Ghezzani, dove posso raccontare voci come la mia, di chi continua e non si arrenderà. Mai”.
LISA BERNARDINI
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