Fin da quando ero piccolino sognavo che da grande avrei voluto far qualcosa che aveva a che fare con la capacità di compiere azioni straordinarie col mio corpo, come tutti i bambini che guardano i supereroi in tv. Non sapevo da dove iniziare, ma ero sicuro che da grande lo avrei fatto.
Quando tredicenne ebbi la possibilità di entrare nel mondo delle arti marziali non ho esitato a chiedere ai miei genitori di iscrivermi in palestra. A dire il vero la motivazione non era quella iniziale, perché allora pesavo quasi novanta chili ma da quel momento è iniziato il percorso della mia vita e da allora sono passati quasi 25 anni e mi ritrovo quasi a 40 anni senza essermene reso conto.
Appena 17enne il mio maestro, il Maestro Camillo Giglio, ha deciso che ero pronto per la mia strada, mi ha dato le chiavi della palestra e mi ha detto: ”Vai”. Non avevo la minima idea di chi ero, ho aperto la saracinesca del garage di via Crucillà e ho iniziato a fare quello che sapevo, quello che avevo imparato fino ad allora o forse anche qualcosa in più.
Non era chiara la strada, né forse il modo o l’obiettivo, ma una cosa era limpida e netta dentro di me; sarei riuscito a creare una scuola di pensiero e di movimento che ha come ambizione la cosa più grande cui l’uomo può ambire: l’elevazione, il distaccamento dal materialismo e la ricerca spirituale della ricerca di se stessi.
Insegnavo quello che allora era il karate, anche perché questo era quello che mi avevano insegnato. Ma fin da subito maturava dentro di me un pensiero ideale dell’arte che inizialmente cercavo nelle altre arti e in altri maestri ma che col tempo, con gli anni, i pianti la solitudine e le piccole soddisfazioni, e grazie all’aiuto di persone, maestri o pseudo tali sono arrivato a capire.
Anche se le radici del mio pensiero, in quanto radici, sono l’essenza delle arti budo, quello che è la sintesi, la realizzazione del mio pensiero, è fiorito dentro di me: Scuola Koshido Budo. Per arrivare a questa identità c’è stato tutto un travaglio che non sto ora qua a ricordare, o a ricordami, e alla fine è diventata una scuola di pensiero e di movimento basato sullo studio di arti marziali a 360 gradi che pone l’individuo al centro come essenza universale.
Quello che provo a trasmettere ai miei ragazzi, con tutti gli errori, i limiti e le imperfezioni del caso, non è la tecnica in sé ma come attraverso essa aiuto ogni persona, me in primis a scavare dentro sé stessa e a cercare di capire esattamente ogni gesto, ogni azione, ogni carezza, bacio o grido; il perché esso è stato compiuto, ed ho capito negli anni che un’azione ha un suo essere solo quando in ognuno di questi gesti, pensieri, morale e azione c’è armonia senza nessun compromesso.
Cosa alquanto difficile sia da esternare come essere umani, sia per i molteplici muri che la società ci ha costruito attorno, sia per le difficoltà che si ha con lo scontrarsi con quello che la società vuole da noi.
Una delle domande che mi faccio quotidianamente, come tutti, è quella di cercare di dare un senso alla nostra vita. Mi reputo ancora un praticante con una cintura bianca, ma oggi posso dire che un motivo per cui vale la pena vivere è quello di intraprendere il viaggio dentro sé stessi. E come in ogni viaggio qualsiasi programma, qualsiasi idea, qualsiasi aspettativa che un individuo ha non sarà mai, quello che effettivamente il viaggio darà come emozione e come ricerca.
Penso che tutti siamo convinti di vivere la nostra vita in piena libertà, ma penso anche che la libertà sia qualcosa che dobbiamo cercare non fuori, ma dentro di noi ed avere quel coraggio di poter dire non quello che gli altri vorrebbero sentirsi dire ma semplicemente dire quello che si sente, e questo, la libertà di pensiero ha un prezzo troppo grande da pagare.
Non ho mai avuto la presunzione di insegnare niente a nessuno in questi venti anni ma l’obiettivo primario è stato quello di portare i miei allievi di un giorno o di venti anni a meditare e a riflettere su ciò che è la loro vita, e su cosa sia la cosa più preziosa che hanno: il loro tempo.
Ringrazio tutti i cittadini di Serradifalco che in questi anni, sia come maestro di arti marziali, che come dirigente sportivo, hanno creduto in me, mi hanno seguito sostenuto e criticato, perché grazie a questo sono quello che sono oggi.
Ho iniziato con due allievi, oggi invece ho stimato di aver avuto a che fare con circa 3000 ragazzi in questi venti anni, che per un giorno o per lunghi anni, hanno indossato un kimono, allacciato una cintura e provato a combattere contro loro stessi.
Ringrazio a chi ha creduto in me come uomo, come compagno, come maestro, o anche semplicemente come istruttore. Ringrazio chi in questi anni mi ha dato emozioni e dispiaceri, a chi mi è stato vicino per darmi calore e chi lo è stato per riceverlo.
Ringrazio in particolar modo anche chi ha spinto il carro, in umiltà e silenzio, dietro le quinte in tutti questi anni: i miei sempai. Ma come non ringraziare i bambini di 3 e 4 anni che mi hanno insegnato tanto. Da due a tantissimi allievi, da un garage a più di ventisei, da una lezione con due ragazzi ai seminari all’università. Dal Koshido come mio pensiero, al Koshido come vita.
Forse ho dimenticato il nome di qualche mio allievo in questi anni, ma non dimenticherò mai ciò che a loro ho dato e ciò che ho ricevuto. Non mi sono mai pentito di nessuna scelta fatta in questi anni né come maestro né come uomo e tra tutte le mie riflessioni, condivise con i miei allievi ce n’è una che voglio condividere con tutti voi: i maestri più grandi sono i bambini.
Quando avete una scelta da fare nella vita guardateli negli occhi, nel momento giusto, quando sono collegati al Divino e loro vi daranno la risposta alla vostra domanda. Cercate di mantenere sempre lo spirito di un bambino e cercate di dare un valore alle cose come fanno i bambini.
Sono loro che sanno vedere i colori della vita per come qualcuno li ha creati per noi. Non importa ciò che fai, ma come lo fai e perché lo fai. Auguri a chi c’è, a chi c’è stato e a chi domani ci sarà.
MICHELE LATTUCA
(Sensei)
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