Non si conoscono i loro nomi e nemmeno i loro volti. Dentro alle bare silenziose sono seppellite le speranze di otto persone africane, inghiottite la notte dello scorso 3 ottobre nei pressi di Lampedusa. Infranti i loro sogni, spente le loro vite. Calpestata la loro dignità in quel mortale naufragio, la più grande tragedia in mare sino ad oggi. Serradifalco con il suo sindaco, Giuseppe Maria Dacquì, e l’intera comunità hanno voluto rendere omaggio “a chi inseguiva un sogno”. Ha immediatamente dato la propria disponibilità a seppellire decentemente “questi nostri fratelli africani”, in prevalenza eritrei.
Sui feretri color marrone, tanti fiori di anonimi cittadini. Un gesto d’amore, come sottolinea il capo dell’amministrazione comunale che indossa la striscia tricolore. Presente l’intera giunta municipale (il vicesindaco Cettina Gibaldi, gli assessori Francesco Valenti e Pasquale Lalumia), il presidente del Consiglio comunale Carmelo Magro Malosso, altre personalità politiche.
Ed ancora: l’arciprete Giovanni Galante che celebra sobriamente ed intensamente l’esequie, padre Filippo Bonasera (direttore provinciale Migrantes), il maresciallo ordinario Tommaso Maria Vozza (comandante della locale stazione dei carabinieri), la dirigente scolastica Anna Maria Nobile. Una cerimonia semplice e toccante. La composta commozione viene opportunamente celata. E dentro quei feretri, maldestramente saldati a Lampedusa, si nascondono le storie di otto fratelli africani. Non hanno un nome, hanno soltanto un numero crudo e freddo impresso sulla bara: 158, 204, 208, 210, 225, 235, 236 e 256.
“Questo è un giorno di riflessione – afferma il sindaco Dacquì -. C’è difficoltà nel trovare le parole. Ci uniscono la pietà umana e la solidarietà. Questi nostri fratelli africani meritano una degna sepoltura. È un gesto d’amore della nostra comunità. Non una tumulazione e basta”. Anche padre Galante evidenzia la semplicità della cerimonia presso il cimitero. Legge un breve testo biblico perché “possa illuminare questo gesto odierno. Bisogna far crescere in noi i sentimenti della solidarietà – dichiara – e della fraternità. L’accoglienza cristiana è nostra”.
Quei “fratelli africani”, come viene sovente ripetuto in mattinata, ricevono la sacra benedizione e poi si passa al pietoso rito della sepoltura. Il sindaco precedentemente aveva informato la cittadinanza tramite un manifesto funebre e la risposta è stata davvero positiva. Una buona partecipazione.
Da ricordare, infine, che successivamente al tragico evento di Lampedusa, padre Filippo Bonasera pochi giorni dopo promosse una fiaccolata e celebrò una santa messa nella chiesa Madre. Segni semplici e spontanei ma importanti, di accorata preghiera e di verace solidarietà. Come quello, ad esempio, del circolo artigiani “San Giuseppe” che ha esposto la propria bandiera a lutto, a mezza asta. Gesti che parlano del nostro popolo.
MICHELE BRUCCHERI
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