di PASQUALE PETIX – L’INTERVENTO. Venti anni fa, dopo due secoli, il servizio militare andò in pensione. Il sociologo – prestigiosa firma del nostro giornale – ripercorre la storia della leva obbligatoria
Il 24 ottobre del 2000, dopo ben due secoli la leva militare andò in pensione. A mandarcelo fu il Senato che aveva approvato in via definitiva le norme per l’istituzione del servizio militare professionale. Il testo venne votato dall’aula con il voto contrario di Rifondazione Comunista e l’astensione dei Verdi e del Pdci. Tutti gli altri gruppi votarono a favore.
In verità la legge non abolì la leva obbligatoria (serviva una modifica costituzionale) ma la sospese, prevedendola solo in caso di guerra o di particolari casi di crisi. L’abolizione comunque verrà gradualmente. Le forze armate italiane dopo la riforma passeranno da 270.000 a 190.000 unità. Dal primo gennaio del 2005 le Forze Armate iniziarono ad adottare un nuovo “modello” di esercito formato da professionisti e con reclutamento volontario (a tutt’oggi per poter entrare a far parte delle Forze Armate italiane, la selezione avviene tramite un concorso pubblico). Furono i nati entro il 1985 gli ultimi ad essere chiamati a fare l’esperienza della naja.
“Sono convinto che questa sia una svolta epocale – commentò l’allora Ministro della Difesa, Sergio Mattarella -, il mutato quadro storico e geostrategico si riflette anche sul ruolo delle Forze Armate, chiamate sempre più spesso a interventi in difesa della pace e dei diritti umani nel quadro delle iniziative della comunità internazionale. Queste missioni richiedono la disponibilità di uno strumento militare dotato di grande professionalità… non conseguibili con il sistema del servizio di leva che, soprattutto a causa della sua durata ridotta, non consente il raggiungimento dei livelli di operatività necessari. La riforma, dunque, sarà capace di soddisfare due obiettivi primari: dotare l’Italia di Forze armate più moderne ed efficienti e liberare i giovani dall’obbligo di impegnare un anno della loro vita per il servizio militare”.
Il servizio di leva obbligatorio fu introdotto nel 1861, subito dopo l’unificazione italiana, per contribuire a creare il senso della patria a tutti i ragazzi neo-maggiorenni, e integrarli (secondo lo spirito dell’epoca) in un contesto coeso ed unitario e utilizzarli in guerra.
Per generazioni di giovani il servizio militare rappresentò un rito di passaggio collettivo volto a trasformare i ragazzi in uomini attraverso “la disciplina militare, fondata sull’apprendimento all’uso delle armi, sulla sospensione della democrazia in caserma, sulla sottomissione alla gerarchia, sulla formazione dell’identità – personale e collettiva – inculcata in contrapposizione alla parallela costruzione del nemico”.
Il servizio militare però non è stato privo di esperienze negative vissute dai suoi protagonisti e finite sulle pagine dei giornali. Si parlava di storie dinonnismo, di vessazioni verso le nuove reclute, sevizie, umiliazioni. Per l’insieme di queste ragioni, dopo la contestazione giovanile del ’68 crebbe il fenomeno dell’obiezione civile alla leva militare.
Sono state moltissime le ex reclute che si sono suicidate alla fine del servizio di leva, per via delle umiliazioni subite in quei mesi. Ad esempio nel 1987 i ‘suicidi di Naja’ furono 9, nel 1988 ben 18. E quando finì “l’obbligo” almeno 100 mila giovani “obiettori di coscienza” avevano già fatto il servizio civile.
PASQUALE PETIX