La parola “diverso” è una parola che sempre più caratterizza la nostra lingua, il cui significato è spesso negativo: “diverso” deriva infatti dal latino “diversus” che significa “opposto” o “contrario”. Questo aggettivo si usa per indicare ciò che si presenta con un’identità, una natura, una conformazione nettamente distinta rispetto ad altre persone o cose.
Il concetto della diversità è stato da sempre analizzato nel corso della storia della filosofia. In passato tale “categoria” è stata spesso applicata per giustificare la schiavitù come conseguenza di una presunta diversità per natura o superiorità di alcuni esseri umani sugli altri. Ad esempio Aristotele sosteneva che le donne fossero “diverse” per natura dagli uomini, riconoscendo a quest’ultimi tutti i pregi in contrapposizione ai difetti propri del “genere” femminile.
Nel XIX secolo John Stuart Mill e sua moglie Harriet Taylor teorizzarono invece l’infondatezza della categoria della diversità, che invece sarebbe di ostacolo al raggiungimento della felicità da parte dell’uomo. Forse avevano ragione i coniugi Mill-Taylor sostenendo che la stessa categoria di “diverso” sia sbagliata e generatrice delle principali divisioni sociali.
Pensiamo alle grandi tragedie storiche del XX secolo. Tutti i regimi per giustificare la propria ragione di esistere hanno adottato tale categoria: il nazismo, il fascismo e persino il comunismo hanno infine trovato la propria ragione di esistere nella lotta al nemico, a ciò che era diverso dal proprio dogma. È la legittimazione della categoria del “diverso” ad aver permesso l’annientamento di tutto ciò che è diverso da me, soprattutto se minoranza inferiore a livello numerico.
Vorrei che l’essere umano si sentisse “differente” non diverso perché in questa differenza risiede il suo essere; infatti io non credo che ci siano esseri umani “diversi”, ma esseri umani “differenti”, la differenza è un valore inestimabile ed arricchente per tutti… L’identità di un uomo è una storia infinita fatta di combinazioni e occasioni, e nasce dall’interazione che ha avuto con il mondo esterno e con il suo tempo vissuto.
L’uomo è un essere unico e differente da tutti gli altri esseri umani che sono venuti prima e che verranno dopo di lui. Se ognuno di noi riuscisse a maturare tale consapevolezza, avremmo forse un mondo di persone adulte che sono state in grado di sviluppare e dispiegare pienamente la propria identità personale nella differenza del sé. Solo allora proveremmo quella compassione necessaria per comprendere che siamo tutti unici e differenti, ma profondamente uguali, destinati a condividere la stessa prigione, la nostra vita, il nostro sapere di essere oggi e aver un tempo limitato da vivere.
“Oh mio povero bufalo, mio povero amato fratello, ce ne stiamo qui, entrambi così impotenti e torpidi e siamo tutt’uno nel dolore, nella debolezza, nella nostalgia” (Rosa Luxemburg).
Questa riflessione è pù che mai legata alla storia del nostro presente; il ddl Zan, il disegno di legge contro l’omobitransfobia, non è riuscito a convincere i signori senatori sull’importanza della necessaria consapevolezza dell’essere “differenti” e profondamente uguali ed è per questo che si è fermato in Senato. Con 154 voti a favore,131 i contrari e due astenuti. Presenti 288 senatori. È stata approvata, infatti, la richiesta di non esaminare la legge articolo per articolo e procedere a scrutinio segreto. Inoltre, il testo tornerà in Commissione non prima di sei mesi; alla luce di questi fatti possiamo parlare senza dubbio della morte dei diritti civili, una fine annunciata.
Cominciamo dall’inizio di questa triste storia; il disegno di legge Zan che prende il nome dal suo creatore, il deputato del Pd Alessandro Zan, prevedeva l’inasprimento delle pene per crimini e discriminazioni contro omosessuali, transessuali, donne e disabili. Una proposta che ha acceso, in questi ultimi mesi, il dibattito pubblico in Italia e che ha diviso il Parlamento e tutto il mondo politico ma che rappresentava, soprattutto, un passo importante per la tutela dei diritti umani, un disegno di legge inclusivo, in difesa dei diritti perché l’amore non ha colori, non ha genere.
“Tutti gli esseri viventi sono fenomeni diversi di un’unica sostanza universale; traggono dalla stessa radice metafisica, e la loro differenza è quantitativa, non qualitativa”(Giordano Bruno).
In base al testo del ddl approvato alla Camera nel novembre 2020, i reati collegati all’omofobia sarebbero stati equiparati a quelli sanciti dall’articolo 64 bis del codice penale che contrasta il razzismo e l’odio su base religiosa e punendo con la reclusione fino a quattro anni le discriminazioni basate sul sesso, sull’identità di genere, sull’orientamento sessuale e sulla disabilità.
Il disegno di legge istituiva anche una giornata nazionale per la lesbofobia, la bifobia e la transfobia per promuovere una più diffusa “cultura del rispetto e dell’inclusione nonché per contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere”.
La legge Zan è rimasta per diversi mesi ferma a causa dell’ostruzionismo della Lega, che ha sempre sostenuto che la nostra Costituzione già sancisca questi reati. La discussione sul ddl Zan negli ultimi mesi è stata al centro dell’opinione pubblica, scatenando reazioni come quella di Fedez sul palco del concerto del 1 maggio.
Queste le prime parole del deputato Zan dopo il blocco in Senato: “…È stato tradito un patto politico che voleva far fare al Paese un passo di civiltà. Le responsabilità sono chiare”. Ma al di là del cercare di comprendere come si sono comportati i gruppi nel segreto dell’urna, io vorrei comprendere le motivazioni che ci hanno portato a raggiungere questo risultato inaccettabile, semmai vi siano. Facciamo dunque qualche riflessione.
Dopo diciassette anni di tentativi andati a vuoto, e dopo che due proposte di legge contro l’omofobia sono state sottratte al dibattito parlamentare durante la XVI legislatura, nel 2009 e nel 2013, chissà quando l’Italia, un giorno, potrà accogliere le raccomandazioni delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa e dotarsi di strategie per promuovere e tutelare una cultura del diritto e sostenere le vittime di discriminazioni, come espressamente richiesto dalla Direttiva vittime dell’Unione Europea del 2012. Cosa impedisce all’Italia di raggiungere tale risultato? E perché? Perché l’Italia ha tanta paura di giungere ad una legge che difenda i diritti civili?
La discussione è giunta in Senato dopo mesi di rinvii e dibattiti viziati da argomenti fantoccio e da polemiche spesso pretestuose, per distrarre l’opinione pubblica con parole e temi che con ddl Zan poco o nulla hanno a che fare.
Fin dal titolo il ddl è chiaro sulle sue finalità: “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”.
Il testo del ddl si prefiggeva di modificare il contenuto degli art.604 bis e 604 ter rubricati come delitti contro l’uguaglianza, per aggiungere alla tutela (‘razziali’, etniche, nazionali o religiose) quella relative al sesso, genere, orientamento di genere, identità di genere e disabilità. Poco o niente è stato fatto per giungere ad un compromesso che salvasse i diritti civili.
Il ddl Zan non aggiungeva nuovi articoli di legge nel procedimento penale per punire i crimini d’odio, ma estendeva quelle già previste per legge. Il testo proponeva, inoltre, di modificare l’articolo 90 quater del codice penale, relativo alle condizioni di particolare vulnerabilità: le vittime di un reato di discriminazione o di violenza per motivi legati ai fattori protetti avrebbero potuto godere di particolari tutele durante il processo.
Il ddl intendeva contrastare atti discriminatori, non introdurre censure o imprecisate ‘ideologie’. La libertà d’espressione non era in alcun modo messa in pericolo e continuava ad essere garantita dall’art. 21 della Costituzione, così come dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti Umani, vincolante per gli Stati che l’hanno sottoscritta. Peraltro, come sottolineato dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo, i discorsi d’odio nei confronti delle persone omosessuali non rientrano nella libertà di espressione protetta dalla Convenzione, e il diritto alla libertà di espressione non è indefinito né giustifica la discriminazione nei confronti di persone o di gruppi di persone, ossia la negazione dei diritti altrui.
Con l’approvazione del ddl Zan anche in Senato, il Parlamento avrebbe potuto finalmente rimediare a un grave ritardo del nostro Paese in fatto di protezione di diritti umani e discriminazioni.
Il testo del ddl non imponeva, quindi, nulla: proponeva invece una strategia di prevenzione coordinata e concordata dai diversi attori impegnati nel contrasto alle discriminazioni sul territorio nazionale, di cui c’è assolutamente bisogno.
Persone trans, omosessuali e disabili che ancora non sono adeguatamente protette dall’ordinamento vigente come dimostrano le notizie di cronaca dei quotidiani attacchi di cui sono vittime, che spesso restano impuniti anche per il mancato adeguamento dei nostri codici ai reati di incitamento all’odio e alla violenza. Lo Stato deve rispondere in modo forte e chiaro alla negazione dei diritti umani, senza più indugi e tentennamenti, altrimenti saremo compartecipi di questi reati. Tutti, nessuno escluso.
A dire il vero ci sono state reazioni diverse nel nostro Paese a questa negazione dei diritti civili. Associazioni internazionali come Amnesty International e nazionali come Anpi hanno manifestato in tutta Italia il loro dissenso alla battuta di arresto del ddl Zan in Senato, anche Patrick Zaki ancora detenuto ingiustamente nel suo Paese durante l’ultima visita con i suoi genitori ha commentato: “Ho sentito un grosso peso sul petto sentendo la bocciatura di una legge che protegge le minoranze di genere da parte del Parlamento italiano”.
Tutto questo deve portarci ad una levata di scudi, ad un forte dissenso da parte di chi ancora sente forte il desiderio di combattere per i diritti civili. Sicuramente è stata una sconfitta dolorosa per chi subisce discriminazioni per motivi di sesso e identità di genere ma anche per tutta la società privata di strumenti per contrastare discriminazioni, discorsi d’odio, hate crime, e per tutelare più efficacemente chi ne viene colpito, è una sconfitta amara e triste per tutti coloro che hanno combattuto questa battaglia civile e culturale con convinzione e determinazione, ma è proprio per questo che questa sconfitta ci impone di non arretrare di un solo passo nel contrastare i fenomeni d’odio e nel difendere i diritti umani e di continuare a lottare insieme più uniti che mai contro le discriminazioni formali e sostanziali per i diritti di tutte le persone.
Sono stati una vergogna anche gli applausi che hanno seguito l’affossamento del ddl Zan, hanno declassato il Senato a un salottino degno di un talk show di infimo livello; ma ancor di più, hanno declassato quello che rappresenta il Senato come istituzione, provocando sdegno in ogni italiano che senta forte il senso di appartenenza civile e morale a questo Paese e ai suoi principi etici.
Il Senato ha scritto così una delle pagine più nere della vita del nostro Paese, senza rispetto per la storia democratica che lo contraddistingue.
SONIA ZACCARIA
(Docente di Storia e Filosofia presso un liceo di Caltanissetta)
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