Nadia Lisanti è una brava poetessa e scrittrice lucana. Le sue parole sono sempre precise, attente, capaci di regalare emozioni. Scrive e parla di eros senza peli sulla lingua, una poesia erotica che non è mai banale o pornografia.
L’esordio lirico è avvenuto con “Un attimo di più”. E poi c’è “69 poesie e 7 peccati”. Va avanti nel suo percorso editoriale e culturale “con umiltà e piacevole curiosità nell’ideare nuovi contesti e concetti di arte e poesia”, dichiara alla versione online de La Voce del Nisseno. Una silloge che fa parte della letteratura trasgressiva, erotica, la forma più antica di espressione letteraria.
Ama il Sud, Nadia Lisanti. E osserva: “La visione che ho del Sud è imprescindibile dalla città di Napoli, intesa come dimensione e non scenario tout court”. A conclusione della nostra intervista, ci consegna un messaggio semplice e solenne: “Siate sempre semi di lettura”. C’è anche, tra i suoi libri, “Un silenzio a due voci”, già poetico nel titolo. Eccola, generosa nel raccontarsi, al nostro microfono.
Partiamo dall’inizio, Nadia. Quando scopri il tuo interesse per la scrittura?
Il mio interesse per la scrittura nasce dal punto di vista grafico: il segno scritto sulla pagina, la mia grafia apprezzata, trasmessa da mio padre che ha la passione di dipingere. C’è una sorta di linea di continuità nel ramo familiare: io, mio padre e mia sorella, così come il fratello di mio padre abbiamo la stessa impronta grafica, è qualcosa che mi ha sempre incuriosito. Il segno è ed assume sempre una valenza metaforica. Così la calligrafia nella mia vita si è intrecciata alla biografia autoriale.
Quando scrivi i tuoi primi versi?
I primi versi a scuola, al primo ciclo di vita, stimolata dalla fortunata bellezza di aver frequentato una primaria, allora scuola elementare con due maestre eccezionali, entrambe si chiamano Francesca. Scrivevo in rima sovente attratta dalla musicalità del verso oltre che dalla poetica rodariana, conosciuta a casa, grazie ai miei genitori. Ho tutti i libri di Gianni Rodari, ed è lì che in me si accese la passione per la scrittura, oltre che la poesia come assunto imprescindibile, conato e compiuto al tempo stesso di quel paradigma indifeso che siamo prima di ogni altra definizione, lettori.
Amavi leggere, Nadia?
Amavo leggere, e trasfondere le righe nella realtà, trasfigurare il linguistico. Ricordo che la prima poesia “Il salice piangente” aveva proprio una velatura bizzarra, in me ago agere, dicevano i latini, e così l’idea di quell’albero associato ad un pianto piuttosto che alla chioma danzante di una bella ballerina mi fece realizzare il mio primo passo di penna, e di fantasia, soprattutto, rivestendo un immaginario che negli anni si è arricchito proprio a partire da quel vissuto.
Il tuo debutto, in poesia, avviene con “Un attimo di più”. Ce ne parli?
Sì, con molto piacere. È una silloge composta da odi. Il mio primo registro linguistico, e ritorna il canto, oltre che l’omaggio alla letteratura classica, di cui sento tutta la portata sempre, travalicando ogni tempo, gli studi classici restituiscono una forma mentis ineguagliabile. E, come dicevo, anche la suddivisione tematica all’interno della raccolta segue le linee tradizionali dei poemi compiuti. Non mi sono risparmiata di dedicare odi all’amore, all’essere, all’esistere, all’universo, alle cose, perché anche queste ultime partecipano al poiein, il farsi afflato con le dimensioni fisiche e metafisiche del sentire.
Prosegui, Nadia.
Il lavoro è dedicato ai miei genitori, fotografi della mia vita, attingendo all’etimologia pura del termine fotografia, ovvero scrittura della luce ed è introdotto da un “Inno alla luce” di Giovanni Muffone scoperto grazie all’amico fotografo Raffaele Martino e custodito all’interno del manuale per fotografi dilettanti del 1894, un testo che ancora oggi è sconosciuto a molti fotografi all’interno del quale si ritrovano in sintesi i codici di questa meravigliosa alchimia che eterna un attimo. Un attimo di più è un titolo aperto, evocativo di un condivisibile tempo, di natura elastica con chi sceglie di esserci ed essere poesia.
Quali sono stati poi i tuoi nuovi progetti editoriali?
Sono molto concentrata sulla traduzione letteraria della poesia, “Un silenzio a due voci” è prossimo alla pubblicazione in Francia, in versione bilingue. E questo slancio nel mondo letterario inteso come ponte comunicativo, vive anche l’estensione ampia del contesto interpretativo. Sto conducendo ricerche interessanti sulla poesia visiva, grazie alla conoscenza della lingua dei segni, e mi sto rapportando alla scrittura in senso lato. Mi è stata proposta la stesura del primo romanzo, ci sto pensando. Ad ogni modo mi piace attraversare anche i sani momenti di “non scrittura”, sono quelli che sbocciano in macchine da scrivere interiori che sempre mi parlano, del resto il nostro corpo è uno strumento musicale ergo sono aperta a scriverne ogni spartito.
“69 poesie e 7 peccati” ti ha regalato enormi soddisfazioni: è così?
Sì, tante soddisfazioni iniziali, soprattutto nella fase di pre-scrittura: l’indagine presente nel Prologo mi ha permesso di entrare in intimità con diversi sensi e sensibilità dell’eros, oltre che di raggiungere un traguardo, la seconda edizione in meno di due mesi, grazie alla vicinanza in primis dello sponsor che ha donato poesia ai dipendenti della propria azienda, mi ha concesso di brindare alla vita nei suoi valori essenziali, quali l’amicizia, ma mi ha anche permesso di conoscere lati del mercato editoriale, in cui non avrei mai sognato di imbattermi, restituendoci delle criticità maturate in seno alla delusione di realizzare di quanta vanità, egoica rappresentazione e autoreferenzialità è connotato il mondo della poesia, in quel sommerso, cui non si sfugge è che ad un certo punto rischia di farti allontanare dalla prossima opera. Però come diceva Massimo Troisi “Il successo è chilli che è già stato” e con questa lezione di vita mi porto avanti, sempre con umiltà e piacevole curiosità nell’ideare nuovi contesti e concetti di arte e poesia.
Come definisci la tua poetica?
Visiva e in continua evoluzione, e ciò dipende sempre dalle esperienze che mutano e mi mutano, di lettura in scrittura e viceversa.
Versi, ma anche racconti: è vero?
Sì, non mi sono fatta mancare mai lo spazio in progetti editoriali corali, quali antologie a scopo benefico. E mi sono cimentata in rete, quando ancora le tecnologie non erano così avanzate con la mia rubrica interattiva “Spazio al Tempo… Tempo allo Spazio” ospitata da GalloItalica all’interno della quale i lettori avevano la possibilità di interagire raccontando. E non sono mancate anche le prefazioni, le consulenze editoriali e le interviste e recensioni, e le dediche all’interno dei libri. E nell’ordine per questo devo ringraziare Ada Crippa, Natale Luzzagni, e Stefano Taccone.
Ci doni una tua poesia, Nadia?
Siamo tutte un dondolìo materno,
di onde che carezzano
ad ogni stella lanciamo il nostro pezzo di pane
Chi volesse acquistare i tuoi libri, come deve muoversi?
La Controluna edizioni distribuisce attraverso Amazon e i canali di distribuzione editoriale conosciuti in Italia per la piccola e media editoria. Le altre due sillogi sono esaurite ma in dirittura di altri mercati come dicevo.
Hai ricevuto diversi premi e vari riconoscimenti. A quali ti senti più legata?
In realtà non tanto e ti ringrazio per la domanda, perché è mia premura specificare che ho vinto il Leópold Sedar Senghor ma è l’unico cui ho partecipato nella fattispecie e su invito. Stesso discorso per il Seneca e per il Conza della Campania. Non vi è snobismo in ciò che affermo solo una dichiarata posizione di distanza rispetto alla visione della poesia come contesto di gara e competizione. Non è un terreno che mi rappresenta.
So anche che hai realizzato un cortometraggio: me lo confermi?
Sì, insieme al filmaker Giancarlo Sanfilippo dal titolo “Sperimentalis” girato in Sabina, Terra che amo, a Cantalupo in Sabina per la precisione e durante la Rassegna Ipotesi Espressive. Un lavoro sperimentale nato dall’idea di indagare cosa rimanesse del gestuale delle danze tradizionali del sud, quali la pizzica e la tammurriata, nel confronto con elementi della Lis. Il lavoro si trova su vimeo, fu accolto come progetto artistico al Cinedeaf di Roma e all’Arcipelago Film Festival, uniche due partecipazioni a concorso.
Una tua battaglia è quella del riconoscimento giuridico della lingua dei segni italiana. Come va avanti questa lotta?
Dal mio piccolo e grande contributo con la tenacia di non chiudere mai gli occhi, di spronare la diffusione della lingua dei segni italiana in quanto lingua, in volontariato per le persone sorde, in sollecitazione attraverso i mezzi di comunicazione e gli eventi organizzati di ogni tipo di passaggio di sensibilizzazione al valore del riconoscimento di diritto della stessa: ergo il primo passo che il Ministero della Cultura e Istruzione dovrebbe compiere è l’insegnamento della stessa a scuola. È un diritto delle persone sorde, sancito dalla Nostra Costituzione.
Hai origini lucane, ma hai vissuto a Napoli. Come “vedi” il nostro Sud?
Sì, gli anni più belli, a Napoli. Gli anni in cui ci si forma, in tutti i sensi, soprattutto alla “scuola della vita”. E la visione che ho del sud è imprescindibile dalla città di Napoli, intesa come dimensione e non scenario tout court. Penso che se l’Italia si capovolgesse ogni tanto, il sud ne guadagnerebbe in termini economici, ma nulla mi allontana mai dalla potenza vivifica che solo qui ho respirato. E lo dico dopo aver vissuto al Nord, con una cognizione di causa, la stessa che vorrei si tramutasse in uno sguardo poetico sul sud come sul nord: l’Italia è bella nella propria varietà culturale, e in questo il Sud resta un faro di Sapienza che arriva fino a Milano.
Questi due anni di pandemia, come sono stati per te?
Tristi e intensi.
Parlami dei tuoi gusti letterari. Cosa leggi abitualmente?
Rileggo molto i classici, i maestri che mi hanno accompagnata, ed è un esercizio spirituale che trovo molto appagante. Leggo anche i contemporanei, e soprattutto le voci latino-americane, in qualche modo c’è un filone che mi riconduce alle radici primigenie. Sono attenta a scoprire la cultura africana, attraverso i maestri che l’hanno attraversata, carne ed ossa, e tra questi Mamadou Dioume che ho l’onore di conoscere e rispettare. M’interessa il Cinema e la saggistica applicata alle neuroscienze, e tutto il bagaglio ampio della grande letteratura. L’ultimo autore che mi ha colpito è Fernando Bermúdez, attraverso la traduzione di Gianni Barone. Per la letteratura italiana il saggio di Alessandro Masi su Giotto. Leggo in anteprima sempre i libri di Pino Roveredo, che mi annovera fra i quindici lettori/lettrici cui invia il proprio lavoro, felicità! E leggo tanti inediti, così tanti da voler metter su la mia casa editrice. Nell’anonimato e fuori dalle regole di mercato si trova tanta poesia, oltre che autenticità di vissuti interessanti.
Ascolti musica?
Sempre, e quasi tutti i generi.
Quali sono i tuoi valori irrinunciabili?
L’onestà, la cooperazione, l’amore, la vita, in un ordine ricomposto sempre a misura di priorità.
C’è un difetto nel carattere di Nadia?
Di sicuro, e tanti e magari nel tempo non sono gli stessi e spero sempre mi siano fatti notare, è solo così che si cresce. Forse bisognerebbe chiedere a chi mi conosce. Qualche amica mi ha suggerito: un eccesso di premura. Qualche amico: la testardaggine. Io direi la voglia di empatia a tutti i costi, a volte, nella mia vita non è stata compresa, e forse devo dire di non essere stata io pronta a trasmetterla o a realizzare la soglia oltre la quale l’altro non voleva che mi spingessi. Ma su entrambi ci sto lavorando.
E il tuo miglior pregio?
Essere costante nell’essere me stessa fino in fondo, anche quando è difficile perché ha un caro prezzo, cercando il confronto e non lo scontro fine a sé stesso.
Quale messaggio consegni ai lettori digitali de “La Voce del Nisseno”?
Siate sempre semi di lettura e grazie infinite per essere qui.
MICHELE BRUCCHERI
LEGGI ANCHE: DEBORA CAPRIOGLIO: «HO SANGUE SICILIANO NELLE VENE»