È arrivato in libreria Dal dono ai legami generazionali – Clinica dell’anima familiare di Mariano Indelicato, psicologo, psicoterapeuta a indirizzo sistemico relazionale e docente incaricato di Psicologia dello Sviluppo presso l’Università degli Studi di Messina.
Pubblicato con la casa editrice Aracne e arricchito dalle prefazioni a cura del sociologo della comunicazione, associato e delegato alla comunicazione Unime Francesco Pira, e di Padre Orazio Barbarino, lo scritto nasce dall’esperienza clinica accumulata in tanti anni di psicoterapia e dall’incontro umano e culturale con la figura di Vittorio Cigoli. Quest’ultimo, insieme a Eugenia Scabini – a parere dell’autore – con i loro studi e ricerche all’interno del Centro Studi della Famiglia dell’Università Cattolica di Milano, costituiscono un punto di riferimento sicuro per chi vuole lavorare con le famiglie.
Professor Indelicato, ci racconta qualcosa degli incontri con Vittorio Cigoli nelle sue visite in Sicilia o in occasione dei viaggi che lei ha fatto a Milano?
Nel corso della nostra esistenza e della nostra storia, gli incontri sono più o meno casuali, spesso non determinati dagli stessi protagonisti. Io, invece, questo incontro l’ho cercato e voluto con grande insistenza: ero affascinato dal concetto di famigliare. Non solo ne ero affascinato, ma lo trovavo alquanto utile nella pratica psicoterapica quotidiana. Il dono come generatore di legami, da subito, mi è apparso contenere un triangolo sacro – donare, ricevere, ricambiare – in grado di spiegare molti dei fenomeni patologici con cui ci confrontiamo ogni giorno. Così come il triangolo fiducia – speranza – giustizia. Il presente lavoro nasce dalla voglia di approfondire il suddetto concetto all’interno dello sviluppo umano e culturale. Sono parecchi gli aneddoti che potrei raccontare, ma ciò che più rimane impresso è il comune interesse per il corpo e l’anima familiare. Attorno a questi due temi costruivamo i nostri colloqui: Cigoli aveva un grande interesse per l’arte pittorica nella quale – attraverso la ricerca bibliografica degli autori, ovvero la loro storia generazionale – ricercava il corpo familiare. In sostanza, per Cigoli l’opera era il risultato dell’espressione dei contenuti inconsci trasmessi dalle generazioni precedenti. Ciò era visibile, soprattutto, nelle pitture di famiglia. Allo stesso modo il mio interesse si rivolgeva ai romanzi di famiglia che, riprendendo il concetto di anima di Plotino, contengono appunto le regole, i miti, i simboli, i rituali che si trasmettono di generazione in generazione. Inoltre, sul piano sociale, spesso confrontavamo gli usi e i costumi popolari, anch’essi ricchi di informazioni rispetto alla storia generazionale. I comportamenti individuali sono determinati dalla cultura in cui siamo inseriti, che contribuiamo continuamente a cambiare attraverso l’elaborazione di tutto ciò che viene trasmesso.
Il libro risponde all’esigenza di analizzare, mettere in evidenza e affermare il valore del dono come equivalente simbolico dei legami: tale assunto assume particolarmente valore in relazione a quelli generazionali?
Il dono dei doni è quello della vita: io dono la vita nella speranza e nella fiducia che a tua volta donerai la vita. Ciò permette non solo la continuazione della specie, ma lo stabilirsi e il costituirsi del legame generazionale. Quest’ultimo fondato, da un lato, sulla giustizia; dall’altro, appunto sulla fiducia e la speranza. I legami, infatti, si costituiscono attorno a due assi, l’ethos e il pathos, che sono le basi di quelli futuri. Il legame genitoriale, il legame di coppia, il legame sociale trovano le loro radici in quello iniziale, ovvero il dono della vita. Il dono ha questo potere, poiché – come ci informano le popolazioni polinesiane – contiene il “mana” che, tradotto in italiano, significa “forza vitale”, “forza che viene da dentro”.
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Inoltre, quasi tutte le culture si fondano sul valore del dono. Nella cultura greca lo “xenia” (vincolo ospitale) era sacro. Un esempio lo troviamo nell’Iliade, in cui Glauco e Diomede interrompono il loro duello sul campo di battaglia nel momento in cui ricordano che i loro due nonni erano legati dal vincolo dell’ospitalità. Nella cultura romana, all’ingresso della casa vi era l’altare dei lari e dei penati in ricordo degli antenati a cui il capo famiglia ogni giorno offriva il sale (simbolo della purificazione) e il farro (primo cereale coltivato dai romani). Chiaramente, le due offerte erano di ordine simbolico: il farro richiama le origini e il sale la conservazione della discendenza. Nella Cultura ebraica il segno distintivo era il rinunciare per fare legame con Dio: Abramo rinuncia alla terra per avere una sua discendenza e, ancora, è disposto a rinunciare al suo unico figlio (Isacco) per mantenere forte il legame con Dio. In quella cristiana il Dio dona agli uomini il suo unico figlio, Gesù di Nazareth, il quale, a sua volta, dona la sua vita per la salvezza dell’umanità. I legami si fondano sul dono e quelli generazionali non sfuggono a questa regola.
Citando la sua affermazione Un albero senza radici è destinato a morire, potremmo dire che vale allo stesso modo anche per l’individuo?
La storia familiare e generazionale? Le radici con le quali si nutre l’individuo. Infatti, non basta il dono della vita, perché successivamente sono necessarie le cure responsabili. Le famiglie attraverso il dono della vita trasmettono il nome e l’eredità di beni e di status e tramandano, nello stesso tempo, i valori familiari. Tocca al figlio, durante la fase di svincolo dalla famiglia di origine, rielaborare la storia generazionale in modo da rilanciare il patto generativo. Chiaramente il processo di rielaborazione può avvenire solo se c’è una storia precedente da rielaborare. Al contrario, l’individuo si trova di fronte al nulla con la conseguente paura di essere inghiottito. Il nulla è indice della non esistenza, della morte da cui l’individuo cerca di sfuggire. La storia generazionale, inoltre, come evidenziato nel libro, permette il riconoscimento e l’appartenenza. Il soggetto viene riconosciuto da una storia e, nel contempo, si riconosce. Allo stesso modo la storia generazionale costituisce lo sfondo a cui mi sento di appartenere. Il riconoscimento e l’appartenenza sono due esigenze primarie dell’uomo: io sono siciliano, italiano, etc. Ciò significa che mi riconosco in quella storia, e nel contempo appartengo a quel gruppo di cui ne assumo le caratteristiche e i valori.
Cosa ha rotto oggi il patto generazionale?
La cultura post moderna che si è iniziata ad imporre a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, e l’affermarsi dei social, ha comportato la rottura del patto generazionale. La prima si fondava sul dis-fare, per cui doveva essere distrutto quanto prodotto dalle generazioni precedenti. L’affermarsi, sul piano culturale, del post-modernismo sostenuto dal neo positivismo, era teso ad abbattere, in nome di una presunta modernità, i miti, i simboli e i rituali del passato. Il processo di disgregazione della tradizione ferrea, permeata di rigidità e formalità, accelera e aumenta di intensità, come un aereo appena costruito che prende quota per raggiungere terre inesplorate, non sapendo se porterà i passeggeri a destinazione. Ihab Hassan, parlando del post modernismo, scrive che “bisogna chiudere con il forte desiderio di dis-fare, che ha preso di mira la struttura politica, la struttura cognitiva, la struttura erotica, la psiche dell’individuo, l’intero territorio del dibattito occidentale”. Il dis-fare non è semplicemente il frutto di azioni intenzionali, ma dell’assenza di regole; della legge che pone i limiti entro cui il desiderio possa trovare il suo godimento.
E poi?
La cultura social, invece, è totalmente incentrata sull’immediatezza, sul tutto e subito. È lungo questo asse che si è consumata la rottura con le generazioni precedenti, vivendo in una sorta di ipertrofia del presente. Infatti, rapportarsi alle generazioni precedenti, affondare all’interno delle proprie origini comporta un tempo lungo che non corrisponde a quello dell’immediatezza. I tempi psichici, dovendo seguire quelli delle nuove tecnologie, si sono ridotti, non riuscendo a sopportare l’attesa di una lunga elaborazione. È venuto meno l’impegno di programmare l’azione presente e futura attraverso la lettura della storia passata. Ciò di fatto ha ridotto le responsabilità che si assumono con le generazioni precedenti: se non avverto la responsabilità verso la storia familiare e generazionale, non avverto neanche il senso di colpa e la vergogna. Insomma, mi sento libero da impegni futuri, proiettando la mia azione solo sul qui ed ora.
In conclusione, nelle sue pagine ci fa compiere un “viaggio” all’interno della storia, per esaminarne tutti gli aspetti. Non solo in termini psicologici, ma anche sociologici, politici, filosofici, antropologici. Dopo la lettura, a quale nuova prospettiva potremo giungere?
L’agire deve essere incorniciato all’interno di uno spazio e di un tempo che, nel delimitarne i contorni – nello stesso tempo – gli dà significazione. Il tempo per sua natura è storicizzato, presupponendo un prima e un dopo anche quando si esplica nel presente. Con Sant’Agostino sappiamo che il passato vive nel presente attraverso il ricordo, così come il futuro costituisce la proiezione dell’azione presente. Nel momento in cui la storia passata viene meno attraverso la rottura con le generazioni precedenti, risulta complicato poter programmare l’azione futura. È il momento della sospensione, non solo del tempo, ma anche dell’identità, che deve necessariamente contenere una storia per poter progettare il cambiamento futuro. Quest’ultimo presuppone un contrasto, un conflitto che deve essere elaborato tra vissuti, presenti e passati.
Ed infine?
In assenza, l’identità diventa instabile e continuamente mutevole poiché sottoposta solo all’immediato. È in queste condizioni che sorge la patologia dell’istantaneità, che si fonda su un vuoto legato all’assenza dell’alterità storica. La rottura tra le generazioni produce un vuoto incolmabile, poiché non permette di riconoscersi e appartenere ad una storia condivisa. La clinica dei corpi familiari – così come concepita da Cigoli, attraverso l’eticità dello scambio di doni, basato sulla fiducia e speranza di poter essere ricambiati – risulterebbe amputata dal vuoto, dall’assenza di una storia con cui potersi confrontare. D’altronde, Lacan aveva già ammonito che in assenza del luogo “Altro” – ad esempio quello in “Nome del Padre” – si produce un cratere per cui risulterà complicato mettere uno psicotico sul lettino dell’analista. Nel vuoto, nell’assenza dell’alterità vengono a mancare i capisaldi del legame: da un lato la giustizia, mentre dall’altro la fiducia e la speranza. Senza questi ultimi, il desiderio tende al godimento immediato senza tener conto della legge: con Freud diremmo che viene meno il principio di realtà, e il meccanismo di funzionamento dell’apparato psichico sarebbe sostenuto dal principio di piacere.
LISA BERNARDINI
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