Risanare l’ambiente con un intervento mirato e preciso. E, finalmente, individuare una soluzione efficace, a questo problema che si trascina da trent’anni. Restituire, in ultima analisi, il valore alla miniera “Bosco – San Cataldo”, in provincia di Caltanissetta. In prima linea, in questa fase strategica, la Regione Siciliana, guidata dal presidente Renato Schifani e l’assessorato regionale all’Energia e ai Servizi di Pubblica utilità, sotto l’egida di Roberto Di Mauro, supportato dal direttore generale del relativo Dipartimento, l’ingegnere Calogero Giuseppe Burgio.
Un disco verde, cioè, alla proposta di progetto di finanza da ben dieci milioni di euro che, come accennato, riqualificherà il sito minerario dismesso alla fine degli anni Ottanta. Si tratta di una vera e propria economia circolare, spiegano gli addetti ai lavori. E rappresenta, sicuramente, un modello virtuoso di partenariato pubblico-privato. Capace di eliminare le fonti inquinanti e, ciliegina sulla torta, ghiotta occasione di sviluppo economico.
Ma scendiamo nel dettaglio. La Voce del Nisseno, da fonti qualificate, apprende i passaggi più rilevanti dell’intero progetto. Concerne il riutilizzo dell’ammasso di cloruro di sodio che si è venuto a creare, quale sottoprodotto, durante l’attività estrattiva di kainite in un’area di pertinenza del sito minerario “Bosco” di San Cataldo.
Il progetto di finanza è a firma della società G.M.R.I. Srl, e l’ingegnere Salvatore Pignatone, ing. Capo del Distretto minerario di Palermo, è il responsabile unico del procedimento. Questo intervento mirato consentirà di smaltire l’ammasso di salgemma che è presente nell’area, da anni fonte di inquinamento. Una soluzione non solo ambientale, quindi, ma anche occupazionale. Infatti, potrà creare nuovo lavoro. Si parla di una ventina di posti, di personale che verrà impegnato direttamente. E poi c’è un indotto di un’altra trentina di persone. Per una dozzina d’anni, almeno.
Tuttavia, ripercorriamo sinteticamente i passaggi salienti del progetto di finanza per l’utilizzo dell’ammasso salino di Bosco-Palo. Che è storia, oltreché economia e lavoro. Il sito minerario nasce come zolfara e rimase in attività sino al 1956. “Successivamente viene scoperto un grosso giacimento di Sali potassici dalla Società Montecatini. Vengono realizzati impianti per la separazione del minerale di base e per la successiva lavorazione presso l’impianto di Campofranco. Durante le fasi di estrazione e trattamento di separazione di tutto il minerale, le salamoie di scarto venivano depositate come ammasso nell’area oggetto d’intervento”, leggiamo nero su bianco.
Nel periodo 1960-1980 vennero poi estratti, nell’area mineraria di Bosco, diversi milioni di tonnellate di sali potassici. “Nel 1988 circa viene dismesso il sito”, leggiamo dal documento in nostro possesso. Quello che rimane oggi del sito minerario sono: gli impianti e i macchinari, i capannoni, il villaggio degli operai e l’ammasso di scarti di sale.
Inoltre, il sito si presenta in un forte stato di degrado. “L’ammasso salino influenza il chimismo dell’adiacente torrente Stincone a causa dei fenomeni di dilavamento che lo interessano – prosegue il progetto -. L’ammasso costituisce un detrattore visivo – paesaggistico”.
Questo ammasso salino dell’ex sito minerario “Bosco” è ubicato a nord del centro abitato di Serradifalco dal quale dista circa 5 chilometri. “È raggiungibile percorrendo la Strada Provinciale n. 46 e proseguendo successivamente, in direzione Mussomeli, sulla S.P. n. 37 e S.P. n. 38”, continua. L’area occupata dall’ammasso salino si sviluppa per circa 500 metri, da Est verso Ovest, e risulta delimitato (ad Est, ndr) dai ruderi dell’insediamento minerario costituiti da alcuni grandi contenitori cilindrici in metallo e da diverse strutture di grandi dimensioni, alcune delle quali crollate, con coperture realizzate da lastre di cemento amianto.
“Sebbene l’area oggetto di studio sia interessata da fenomeni di dissesto, da studi condotti dall’Università di Palermo emerge che i fenomeni di subsidenza sono ridotti/trascurabili in tali aree”, prosegue il documento.
La società proponente è stata autorizzata ad accedere, dunque, dalle autorità competenti e ad operare nell’area dell’ammasso salino. La società “ha realizzato i lavori finalizzati alla caratterizzazione e studio dell’ammasso”. “La GMRI Srl, quale redattrice del Progetto di Finanza, con la consegna dei documenti ed elaborati di progetto, chiede l’affidamento, mediante procedura ristretta, tramite finanza di progetto su proposta del privato”, sta scritto. E viene sgranato il rosario della proposta progettuale.
Si prevede l’utilizzo come sottoprodotto del minerale abbancato e quindi la rimozione dell’ammasso salino; la sistemazione dei piazzali dove verranno stoccati i materiali di risulta (Terre e Rocce da Scavo), le attrezzature per la lavorazione del minerale e il materiale pronto alla vendita; la sistemazione dei terreni di fondo dell’abbanco con posatura di pannelli fotovoltaici; il ripristino “dell’area con modellazione del terreno e posa in opera di piante alofile”.
La società proponente intende “utilizzare il minerale costituente l’ammasso salino come sottoprodotto. Il minerale coltivato sarà immesso nel mercato a valle di processamenti rientranti nella normale pratica industriale, ossia operazioni di frantumazione e vagliatura per l’ottenimento delle granulometrie più idonee e per la loro separazione”.
La durata del progetto di finanza “avrà la durata di 12 anni, a decorrere dalla data di sottoscrizione della Convenzione. Il Concedente comunque può prorogare la Concessione a fronte di richiesta del Concessionario”. Come si evince, dunque, è stata individuata la soluzione ad un problema trentennale, con una concezione moderna e innovativa, sicuramente efficace. Una risposta concreta al territorio.
Un’opera importante, questa riqualificazione del sito minerario (venne avviato nel 1830 e dismesso, come già scritto, alla fine degli anni Ottanta). Un passo encomiabile per la bonifica del sito. Con evidenti ricadute economiche, lavorative, ambientali e sociali. Un’attenzione al territorio.
MICHELE BRUCCHERI
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