Massimo Maria Tucci
Massimo Maria Tucci

Migliaia di copie vendute in ebook, una storia scabrosa che coinvolge la Torino bene e un avvocato costretto dalle circostanze a trasformarsi in investigatore. E, ora, anche l’approdo in libreria e in tutti i principali store online nella collana Nuove Voci Tracce dell’editore Albatros.

Massimo Maria Tucci
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“La porta dell’inferno” di Massimo Maria Tucci – ex magistrato tributario, professore universitario e avvocato internazionalista di successo – è il primo di una serie di quattro noir metropolitani che coinvolgeranno il medesimo protagonista, il legale Arnaldo Bertini.

In mezzo a una città che sotto alla patina borghese e sabauda cela sette sataniche, club di scambisti e professionisti di specchiata fama (ma solo apparente), scoprirà come il male possa rivelarsi discreto, affatto nascosto e in realtà insospettabile.

Massimo, come nasce l’ispirazione per “La porta dell’inferno”?

Il libro nasce in maniera naturale dalla mia conoscenza dell’ambiente torinese e della sua alta borghesia che ho avuto modo di frequentare negli anni della formazione universitaria. L’idea di concepire un delitto in questo ambiente così tradizionalmente autoreferenziale, di far emergere le contraddizioni di un gruppo sociale che si considera all’apice non solo del successo ma anche di un certo tipo di morale, stimolava la mia natura di enfant terrible. Ho cercato di riprendere certe atmosfere così ben descritte da George Simenon nella sua Parigi della metà del Novecento. Sono passati da allora quasi cento anni, ma l’insieme dei valori di questa classe sociale è rimasto incredibilmente immutato. Una delle domande che si pongono quando conoscono, ad esempio, qualcuno che giunge “da fuori” è: “Come nasce?”.

L’atmosfera ovattata della Torino bene rappresenta un ecosistema ideale per il protagonista?

Bertini si muove in questo ambiente apparentemente a suo agio perché ne conosce i meccanismi. Quando gli manca qualche riferimento, per orientarsi si rivolge comunque al suo amico melomane che appartiene di diritto al Ghota della nobiltà torinese e che gli fornisce le chiavi di lettura di certi comportamenti o reazioni.

Massimo Maria Tucci
La copertina

In che modo le tue esperienze personali, che ti hanno portato in giro per il mondo, hanno influito sulla trama?

In questo primo libro non c’è molto della mia vita “avventurosa”. L’aspirazione personale era di dipingere il quadro di una classe e di un’epoca che sta già sparendo. C’è molto invece delle mie esperienze dirette nei libri successivi con protagonista lo stesso Arnaldo Bertini: la moda milanese con le sue rivalità epiche, le esperienze africane dove il povero Arnaldo di trova ad affrontare pericoli che percepisce in genere solo quando si concretizzano con una puntualità da orologio svizzero.

Perché l’ironia di Arnaldo Bertini rappresenta un approccio centrale nel suo modo di affrontare le avversità?

L’ironia per Arnaldo è il modo per sfuggire alle proprie contraddizioni, per non vedere la realtà di una vita che gli sta passando davanti senza che lui riesca a coglierne la parte migliore: quella fatta di vitalità alle volte anche inutilmente frenetica, di pause alla ricerca di nuovi orizzonti da esplorare, anche di pericoli, perché no, ma scelti scientemente. L’ironia è il filtro attraverso il quale lui può osservare il mondo circostante illudendosi di esserne parte senza però esservi immerso. Un male, quello dell’osservatore della vita, che accomuna buona parte della sua generazione di quarantenni non del tutto cresciuti che, per dirla con Checco Zalone, spera di fare da grande “il posto fisso”.

LISA BERNARDINI

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