Trent’anni in Brasile, di cui più della metà da vescovo. Antonino Migliore, vescovo missionario a Coxim, nei prossimi giorni festeggia settant’anni.
“Voglio farvi una confidenza – asserisce in esclusiva per La Voce del Nisseno -. Se il Signore mi accorda ancora vita, tra cinque anni, quando dovrò lasciare la diocesi, verrò a Serradifalco, per terminare i miei giorni tra la mia gente. E desidero essere sepolto nella nostra Madrice”.
Il prossimo 7 giugno, spegne la settantesima candelina. Eccellenza, qual è il bilancio della sua vita?
Ho sempre detto agli altri che, per essere felici, basta che, guardando indietro, non ci siano rimorsi. Ora sto applicando a me questo pensiero. Guardando indietro, io devo solo ringraziare il Signore, che mi ha guidato passo dopo passo in tutti questi 70 anni. Con serenità, dico che non ho rimorsi. Ciò non è segno di superbia, ma coscienza della presenza di Dio nella mia vita. Fin dalla più tenera età, posso dire fin dal grembo materno, Dio mi ha chiamato ad essere suo ministro.
Cosa sentì?
A dieci anni sono entrato in seminario dai Gesuiti e, con loro, ho fatto la scuola media. Ma a tredici anni, alla fine della scuola media, avevo chiara l’idea di essere sacerdote diocesano e, per questo, ho continuato gli studi nel seminario di Caltanissetta. A 23 anni fui ordinato sacerdote. Un anno di studio a Messina, 5 anni come viceparroco a Sommatino, 11 a Serradifalco, 30 in Brasile, di cui 16 come Vescovo. I numeri dicono poco ma, per me, indicano le chiamate del Signore a un impegno sempre più grande al servizio della Chiesa. Sono stato fedele a questo impegno? Il Signore lo sa. Come Pietro, vorrei dire: “Signore, tu lo sai che io ti amo”. E, oggi, come in tutti questi momenti, dico con gioia: “Sono pronto, Signore, per fare la tua volontà”.
Nel giugno 1969 venne, dunque, ordinato sacerdote, a soli ventitré anni. Come ricorda quel giorno?
Oggi lo ricordo con gioia, ma in quel momento era solo paura. Mi chiedevo: “Sarò fedele?” La responsabilità di un sacerdote è grande, non per quello che fa, ma soprattutto per quello che è. Ora percepisco che, se sto ancora in piedi davanti al Signore e alla Chiesa, è perché Lui mi ha sempre sostenuto. Seguendo San Pietro, ricordo che lui diceva: “Chi sta in piedi, guardi di non cadere”. Per questo, oltre al ringraziamento, oggi c’è la richiesta di aiuto, perché continui fedele fino all’ultimo.
Dal novembre 1986 al dicembre 1996 è stato missionario in Brasile. Cosa ha rappresentato, per lei, quella esperienza decennale? Partiamo dalle luci…
Luci: molte! Non pensando al lavoro, ma al rapporto personale, per me è sempre stato motivo di gioia l’incontro con le persone. Dovunque son passato, abbiamo creato vincoli forti di amicizia, che durano tuttora. Questo rapporto mi ha aiutato, specialmente nei 30 anni di Brasile…
E le ombre?
Difficoltà non ne sono mancate. Voi, amici di Serradifalco, siete testimoni di qualcuna. La partenza da Serradifalco non fu indolore. Ora voglio fare una confidenza. Da aprile a novembre 1986, sempre ho sorriso; davanti alle tante lacrime versate, sono stato forte. Ma, quando ero solo, mi sfogavo col Signore…
Continui.
Il 18 novembre, quando mi avete lasciato all’aeroporto di Catania, entrando nel pullman che portava all’aereo, pareva che il mondo cadesse sotto i miei piedi. Per la prima volta, mi sono sentito solo: lasciavo un mondo che conoscevo, andavo verso l’ignoto. Non ho gridato per vergogna. Ma il pianto è sgorgato abbondante.
E ombre in Brasile?
Ombre in Brasile… I primi tre anni, nessuna difficoltà, perché a Piracicaba, ho avuto una parrocchia meravigliosa. Ma era tutto pronto e organizzato. Per cui, mi son chiesto: che ci faccio io qui? Voglio essere missionario. E allora… Sonora! Partire da zero, socialmente e religiosamente. Un paese che aveva un anno di vita, nato attorno a una fabbrica di alcool e zucchero…
E poi?
Dopo sette anni, il ritorno in Italia. Pure questo non fu indolore. Ma in tre anni, due luci: Calascibetta e Sacro Cuore a Caltanissetta.
Giugno, per lei, è da sempre un mese importante: nascita e ordinazione sacerdotale. Ma anche ordinazione episcopale il 23 giugno 2000. Quali sono le luci di questo ennesimo impegno pastorale? Qual è il progetto più bello, ambizioso e importante che ha realizzato in Brasile in tutti questi anni?
I 30 anni in Brasile mi hanno visto come Prete e come Vescovo. Come Prete, la soddisfazione più grande è aver contribuito con l’inizio di un nuovo paese. Pensare di aver realizzato le prime opere sociali (case popolari, casa per anziani, Progetto-Speranza ecc..) mi dà tanta gioia. Come Vescovo, non c’è dubbio che ciò che riempie il mio cuore di gratitudine a Dio è aver generato 18 figli: i nuovi sacerdoti. Sono ragazzi cresciuti con me, infatti ho aspettato cinque anni per ordinare il primo. Dopo vari anni di sacrificio, ora non solo ci sono parrocchie con due sacerdoti, ma abbiamo già deciso di elevare il livello culturale del clero, continuando gli studi per una Licenza o Laurea. In ottobre, il primo mio sacerdote verrà a Roma per studiare alla Gregoriana, un altro andrà a Bogotà (Colombia) per lo stesso motivo. E, dopo di loro, altri faranno lo stesso cammino.
Tra lei e la nostra terra, c’è sempre stato un “ponte” ideale forte. Cosa chiede alla nostra gente per espletare meglio la sua pastorale missionaria?
Ho sempre detto che un missionario è un ponte tra due realtà. Per questo, ho continuato il rapporto con tutti quelli che ho conosciuto in Italia nei primi 40 anni. Un rapporto preferenziale con Serradifalco, sia per il numero di anni trascorsi, sia per la simbiosi realizzatasi tra di noi. Questo rapporto, fatto specialmente di affetto e di stima, mi ha aiutato molto, specialmente nei momenti di difficoltà…
Prosegua.
Cosa chiedo alla “mia gente”, che siete voi? Continuiamo a volerci bene. Questo affetto si è manifestato, all’inizio, con l’aiuto materiale, con cui ho potuto realizzare molto, soprattutto a Sonora. Tante opere ora camminano con le proprie gambe, grazie a Dio. Ma ci sono tanti modi per continuare a farmi sentire espressione del mio paese. E…
Dica, eccellenza?
Voglio farvi un’altra confidenza. Se il Signore mi accorda ancora vita, tra cinque anni, quando dovrò lasciare la diocesi, verrò a Serradifalco, per terminare i miei giorni tra la mia gente. E desidero essere sepolto nella nostra Madrice.
Cosa pensa di Papa Francesco?
Penso che è Dio che guida la sua Chiesa. Nell’ultimo secolo, abbiamo avuto grandi papi, tutti all’altezza del momento storico. Ora ci voleva Bergoglio, che porta con sé un’esperienza diversa di quella europea. Lo stile di Francesco è lo stile di Gesù. Lui ci sta portando al centro del Vangelo, ricordando ciò che veramente vale: l’amore, la misericordia. Alla fine della vita, saremo giudicati solo su questo.
Come trascorre il poco tempo libero?
Qui, dove abbiamo molti fiumi, molti preferiscono pescare. Io preferisco visitare ammalati e anziani. Mi piace pure stare solo nella mia stanza per pensare e programmare.
Un’ultima domanda: quale consiglio dà ai giovani di oggi?
Anche se ho 70 anni, continuo a stare vicino ai giovani. So che non è facile il lavoro con loro, per tutte le distrazioni che il mondo di oggi offre. Ai sacerdoti consiglio la prossimità con i giovani, stare in mezzo a loro. E ai giovani, cosa consiglio?
Cosa, vescovo Migliore?
Quando nel 2000 abbiamo celebrato il 25° anniversario della Comunità Giovanile, abbiamo realizzato la maglietta con questa scritta: Sono giovane se sogno. Perciò dico: Giovani, sognate! Sognate alto! Più grande è il sogno, più grande sarà il risultato. Non accontentatevi delle mezze misure. Mettete le vostre doti, il dono della vostra gioventù al servizio del bene comune, della società. Non chiudetevi nella ricerca di una realizzazione personale fine a se stessa, ma apritevi alle esigenze del mondo in cui vivete. Sarete più contenti, perché Gesù ci ha detto: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”.
Auguri di buon compleanno, caro vescovo missionario. Lei è il nostro orgoglio.
MICHELE BRUCCHERI
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