Squilla il mio cellulare. È un sabato mattina. Barbara Scarpa, mia grande amica lombarda, dopo avermi salutato, al telefono, dichiara: “Ti passo un caro amico”. Conosco così il mitico e brillante Enrico Beruschi. Ricevo anche il numero del suo telefonino e l’indirizzo di posta elettronica. Cabarettista e attore, nato a Milano (classe 1941), può essere considerato un artista versatile e di esilarante impatto. Dotato di mordace ironia, graffia con intelligenza e con simpatia. Persona disponibile, di singolare bonomia.
Al suo attivo, una lunga carriera professionale. Conosce i “Gatti di Vicolo Miracoli” e “La Smorfia”, partecipa poi al famoso programma televisivo “Drive in” riscuotendo un immane successo. Diventa un’icona della tv di quel periodo. Incide anche una canzone e la presenta al Festival di Sanremo. Nel 2007 debutta come regista teatrale. Ha lavorato inoltre come attore cinematografico e in alcune fiction: “Il borghese piccolo piccolo” di Mario Monicelli, “La dottoressa alle grandi manovre”, “Piccolo mondo antico” ed “Elisa di Rivombrosa”, tra gli altri.
“Ho tentato di imparare da tutti: Giuseppe Pambieri, Alberto Sordi e via discorrendo”, racconta alla versione online del periodico d’informazione La Voce del Nisseno. Nonostante i suoi numerosi impegni professionali, ci concede questa piacevole chiacchierata. Una breve intervista, tra uno spostamento e un altro. Attualmente ama la lirica. E ci confida: “Ho un’idea per portarla in televisione, dove è brutalmente messa da parte. Però è una lotta dura”. Infine, ribadisce il suo nobile proposito di divulgare vieppiù un autore che apprezza notevolmente: “Continuare con le letture per diffondere Giovannino Guareschi, il più tradotto degli scrittori italiani del Novecento, spesso trascurato per pregiudizi politici”.
Vanti una lunga attività professionale. Partiamo dall’inizio. Quando nasce la tua passione per il mondo dello spettacolo?
Così, all’improvviso, mi vengono in mente i primi Festival di Sanremo alla radio, il film dalla rivista “Attanasio cavallo vanesio” con Renato Rascel, poi per 20 anni non ci ho più pensato. Ma i miei ex compagni di classe (Cochi e Renato) si facevano largo…
Conosci i “Gatti di Vicolo Miracoli” e “La Smorfia”, tra gli altri. Come ricordi quel periodo?
Eravamo tutti al palo di partenza ma, costruendo la trasmissione Non Stop, ci accorgevamo di avere qualcosa da dire e ogni sera in cabaret il pubblico ce lo confermava.
Con “Drive in” raggiungi il successo. Ci ricordi qual era il tuo ruolo, Enrico?
Ero l’unico con il contratto di esclusiva, come si usava allora, ed il programma è nato intorno a me, che già da due anni avevo rinunciato al monologo televisivo, ma conducevo la “storia” della puntata.
Nel 1979 incidi “Sarà un fiore” e presenti questa canzone a Sanremo. Cosa ti resta di quell’esperienza?
Devo riconoscere che il palcoscenico dell’Ariston mette soggezione, ma poi l’incoscienza giovanile (sic!) fa passare la paura, anche ad un NON cantante come me.
Molto intensa è stata la tua attività teatrale. Ci ricordi le principali tappe?
Lo spunto me lo ha dato Bramieri che, su “Sorrisi e canzoni” aveva risposto alla domanda di che cosa pensasse dei nuovi comici (io, Grillo e gli altri): per sapere se sono veramente dei comici, bisogna vederli in teatro. Sono stato il primo, dal ’79, con tre commedie di Amendola e Corbucci, poi pausa televisiva e dal ’92 con il capolavoro di Luigi Lunari, “Tre sull’altalena”, poi “La cena dei cretini” di Veber e via…
Hai lavorato con un sacco di artisti. Chi ricordi con maggiore gratitudine e grande affetto?
Prima la mia partner storica: Margherita Fumero (troviamo gente che ci crede veramente marito e moglie – sorride ndr), poi il caro Boris Makaresco, mancato da poco, dal cabaret, continuiamo una bella amicizia con Franco Visentin, dalla tv ci si sente poco, perché le strade sono diverse, ma rimane l’affetto con Yor Milano (lo svizzero), Carmen Russo, Tini Cansino, D’Angelo, Greggio, Vastano…
Quasi dieci anni fa, nel 2007, debutti come regista teatrale. È vero?
Regista è una parola grossa, ma è vero: in qualche commedia di prosa e, soprattutto, nella lirica, che rappresenta il mio attuale maggior interesse.
Hai lavorato anche come attore cinematografico. In quali pellicole?
Non ho fatto tanto cinema, ma spesso vengo fermato per chiedermi cose che, magari, non ricordo. Ma passano in televisione: “Il borghese piccolo piccolo“, “La dottoressa alle grandi manovre“, “Montecarlo gran casinò”, “Letti selvaggi“ e così via. Dal più impegnato al più frivolo.
Sei stato anche attore di fiction. È così, Enrico?
Sì, con la regista Cinzia Th Torrini: “Piccolo mondo antico” ed “Elisa di Rivombrosa”. E una cosina nella “Certosa di Parma”.
Attore teatrale e cinematografico, cantante, regista, conduttore televisivo… A quale figura professionale ti senti più legato e perché?
Al prossimo!!! Sabato ci sarà La traviata con il mio sistema: piano, tre cantanti ed io che spiego e racconto la vicenda. Ho delle belle soddisfazioni, anche se si deve sempre lottare contro i mulini al vento.
C’è stato qualcuno che ha rappresentato la stella polare da seguire, artisticamente?
Il più grande di tutti: Felice Andreasi. Ma ho tentato di imparare da tutti: Giuseppe Pambieri, Alberto Sordi e via discorrendo.
Qual è l’ultimo libro che hai letto?
In pubblico? Il corrierino delle famiglie di Giovannino Guareschi. Da anni propongo letture di Guareschi e vedo che il sistema si sta diffondendo.
Che tipo di musica preferisci ascoltare?
Lirica, naturalmente. Poi Aznavour, Milly, Elvis…
Quali sono i valori ai quali credi strenuamente, Enrico?
Essere una persona per bene.
Qual è stato il giorno più bello della tua vita? E il più brutto?
Che domande?! Come parlare del primo amore, che si scorda sempre, ma è l’ultimo che si ricorda.
Quale qualità ti riconoscono? E quale difetto ti rinfacciano?
Più o meno la stessa cosa: che sono troppo buono.
Credi in Dio?
Naturalmente sì! È parte essenziale della mia vita.
Quali progetti hai, infine, in cantiere?
Come dicevo, la musica lirica e ho un’idea per portarla in televisione, dove è brutalmente messa da parte. Però è una lotta dura. Continuare con le letture per diffondere Giovannino Guareschi, il più tradotto degli scrittori italiani del Novecento, spesso trascurato per pregiudizi politici. Pur sapendo appena leggere e scrivere, sul nuovo CANDIDO scrivo, in quarta pagina, le “osservazioni di uno qualunque”, con un misto di pudore e di orgoglio, perché era la rubrica di Giovannino. Poi tante altre cose, l’importante è avere il tempo di farle.
MICHELE BRUCCHERI
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