Dall’infanzia all’adolescenza alla maturità, inclusa la vecchiaia, il gioco ha da sempre accompagnato il percorso esistenziale dell’uomo permettendogli di divertirsi e allo stesso tempo di migliorare abilità e intuito mettendosi alla prova senza necessariamente avvertire la responsabilità di giungere al risultato migliore. Il gioco invita allo svago e alla creatività, e in molti casi per i più piccoli svolge funzioni educative e di stimoli per migliorare l’apprendimento.
Nel succedersi di epoche e culture, vi sono stati diversi giochi che venivano praticati come passatempi: basti pensare ai greci e ai romani, ma anche all’epoca medievale, per arrivare al Rinascimento dove l’arte del gioco ha permesso di realizzare nuove strategie ludiche e diversi modi e occasioni per divertirsi unendo anche a volte il lato sportivo. Arrivando poi ai giorni nostri grazie al progresso e alle nuove tecnologie con l’avvento del digitale anche lo spazio e l’idea di gioco ha assunto un’altra connotazione diventando spunto per simulare la vita reale.
Il gioco permette a quanti lo praticano di sentirsi a proprio agio e uscire dai ruoli che solitamente si svolgono nel quotidiano siano essi legati all’ambito lavorativo, sia familiare e sociale. Questo perché l’atmosfera che si crea durante il gioco mette tutti sullo stesso piano in un contesto lontano dalla routine in cui poter far emergere le proprie capacità e attitudini, rischiando di sbagliare senza necessariamente sentirsi giudicati.
Riguardo il gioco, a proposito della mostra “Pepi Merisio. Gioco!” che si inaugura giovedì prossimo (24 giugno, ndr) alle ore 17 a Trevi (Perugia) nella cinquecentesca cornice di Villa Fabri, così scrive il curatore Flavio Arensi: “Il gioco è l’alfabeto più immediato, quello che toglie i protagonisti dalla necessità di sentirsi in un ruolo predefinito, mettendoli nella condizione di rivelarsi”.
Patrocinata dal Comune di Trevi in collaborazione con il Complesso Museale di San Francesco, l’esposizione a cura di Flavio Arensi, vuole essere un omaggio ad uno dei protagonisti della fotografia italiana del Novecento Giuseppe Merisio, detto Pepi (Caravaggio 1931- Bergamo 2021) a pochi mesi dalla sua scomparsa avvenuta lo scorso febbraio. Da autodidatta ad amatore, entra presto a lavorare come fotoreporter con diverse testate tra cui “Réalité”, “Photo Maxima”, “Pirelli” e “Famiglia Cristiana”, per poi entrare ad “Epoca” nei primi anni Sessanta. Celebri i suoi scatti che ritraggono le popolazioni italiane in condizioni disagiate, ma anche quelle di Papa Paolo VI.
Il percorso espositivo attraverso cinquanta foto in bianco e nero e a colori realizzate dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, ripercorre il tema del gioco nelle sue espressioni legate al quotidiano. Gli scatti restituiscono l’immediatezza e la poesia di gesti legati a momenti di felicità condivisi o vissuti individualmente, attesi e desiderati entro contesti diversi eppure accomunati da quella spensieratezza in cui si respira felicità, ma anche amarezza perché poi il gioco deve terminare, per riprendere forse il giorno seguente.
Il gioco restituisce quella libertà che permette di essere sé stessi. Come scrive il curatore Flavio Arensi: “I ragazzi del Rione Stella, i seminaristi che giocano a basket, gli orchestrali che attendono la scena giocando a scacchi, come la madre carica di legna e il figlio con la piccola gerla vuota che gioca alla fatica della vita, sono scorci o paradigmi della nostra esistenza. Ognuno con il suo portato di felicità e persino amarezza: il gioco finisce, si deve tornare a casa, ai compiti, al lavoro, alla normalità. Il gioco, in tal senso, è quell’attimo eroico e atemporale in cui ci si immerge per mettere uno stacco dalla cronaca ed entrare nella propria storia”.
Riguardo l’occasione che offre il gioco di uscire da un ruolo assegnato, sempre il curatore così afferma: “Il gioco è l’alfabeto più immediato, quello che toglie i protagonisti dalla necessità di sentirsi in un ruolo predefinito, mettendoli nella condizione di rivelarsi. Il lavoro di Merisio ha per lo più questo indirizzo: lasciare che le cose accadano, si rivelino per quello che sono, mentre sta all’osservatore cercare di capire ciò che vede stampato”.
All’inaugurazione della mostra, coprodotta e organizzata da Le Macchine Effimere e Menti Associate, che rappresenta il via per Villa Fabri, sarà presente il Sindaco Bernardino Sperandio a sottolineare la ripartenza di una nuova stagione culturale per la cittadina umbra che vedrà il susseguirsi di eventi, concerti, e conferenze.
SILVANA LAZZARINO
- La foto pubblicata è “Basket in Seminario”, Bergamo, 1964, Stampa ai sali d’argento, vintage print. cm 24×35 © Pepi Merisio, Museo delle storie di Bergamo, Archivio fotografico Sestini.
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