Talento da vendere, ritmo nel sangue, idee innovative, formazione magistrale, desiderio di trasmettere conoscenze e arte della maieutica: Roberto Giaquinto è un batterista di eccellenza.
Nato a Napoli, durante le scuole medie muove i primi passi nel pianeta della musica della sua città suonando con diverse band. Continua a coltivare la sua passione per la musica durante gli anni del liceo, per poi trasferirsi a Roma dove prosegue i suoi studi diplomandosi in Arrangiamento Jazz presso il Conservatorio Licino Refice.
Ormai le sue capacità sono consolidate e nel 2009 gli viene assegnata la borsa di studio per il Berklee College of Music. L’anno successivo è a Boston e qui viene selezionato per far parte del Global Jazz Institute un programma intensivo diretto da Danilo Perez. Anche se le sue radici napoletane restano solide, gli Stati Uniti diventano la sua nuova patria e qui si esibisce in diversi club come il Blue Note e il Birdland e partecipa a importanti manifestazioni come Detroit Jazz Festival, Panama Jazz Festival, Toronto Jazz festival, Nancy Jazz Pulsation e altre.
Suona a fianco di musicisti del panorama jazzistico internazionale come John Patitucci, Dave Liebman, Adam Cruz, Ben Street, George Garzone, Chris Cheek, Aaron Parks, Steve Wilson. È coinvolto in progetti svariati come il Daniel Rotem Group, Mike Bono e con il pianista Yakir Arbib ha formato la Band Radio Intro un duo di musica improvvisata con la pubblicazione dell’album Sketches on the Radio registrato dal vivo in Canada.
Incoraggiato dal suo mentore Hal Crook dà vita a un progetto in cui suona le sue composizioni originali. Appassionato di educazione, oltre ad insegnare regolarmente a New York e in masterclass in tutto il mondo, è il fondatore e direttore di “InMotionBeat Fest” un workshop di musica progressive che prevede incontri fra diverse realtà culturali proiettate verso il futuro facendo tesoro dei capisaldi del passato. Il Workshop, che è una realtà collaudata da alcuni anni che prevede anche concerti a Napoli e in altre città italiane. È un approccio nuovo e non convenzionale del ritmo, della melodia e dell’armonia in cui lo spirito compositivo e improvvisativo si aprono a nuovi stili e generi in una continua ricerca di sonorità e innovazioni alimentata da approfondimenti, studi e sperimentazioni.
Roberto Giaquinto, benvenuto al nostro giornale!
Ciao Daniela, è un piacere, grazie per l’invito.
Sei giovanissimo, ma hai una carriera ricca, intensa e variegata. Quando hai scoperto il tuo amore per la musica e per il ritmo?
Grazie ai miei genitori, sono sempre stato circondato da musica e strumenti sin da quando sono nato. Mio padre da giovane suonava il violino, chitarra e mandolino, e mio fratello ha intrapreso prima gli studi di pianoforte e poi di sassofono, passando per la chitarra. Ho sempre apprezzato la musica sin da quando ero in versione mignon; ricordo mio padre metteva in macchina dischi di Paolo Conte ed Harry Belafonte.
Poi?
Poi più in là verso i sette anni ho scoperto i Queen, ma ancora non suonavo, immaginavo solo. Quando andai a sentire mio fratello (che a quell’epoca suonava il sax tenore) ad un saggio di musica, fui completamente rapito dallo strumento della batteria. Non so esattamente perché. Ero piuttosto grande, sui 12 anni. Ma da quel momento la decisione fu così forte che ad oggi non è cambiato assolutamente nulla, e la convinzione è rimasta la stessa.
Quanto la tua famiglia ha contribuito nel realizzare il tuo viaggio nella musica?
Beh assolutamente tutto. Senza il loro supporto, probabilmente non avrei neanche iniziato a suonare e ad appassionarmi alla musica. La cultura è sempre stata protagonista in casa e di conseguenza anche la musica, e questo lo devo a loro. Inoltre provenendo entrambi dal mondo dell’educazione, i miei genitori hanno sicuramente contribuito al processo di arricchimento del mio curriculum di studi (a volte con non poca insistenza), con due lauree (una al Conservatorio Licinio Refice ed una al prestigioso Berklee College of Music) ed un Master In Jazz Studies alla Aaron Copland School of Music del Queens College. Fortunatamente ho ricevuto tante borse di studio e riconoscimenti internazionali e spero di avergli dato anche tante soddisfazioni.
Il ritmo è dentro di te e mi sembra di intuire che il jazz è il genere che da subito ti ha consentito di esprimerti come meglio volevi.
Certo, anche se sin da quando ho iniziato ad approcciarmi alla musica ho subito mostrato interesse per le svariate forme d’arte all’interno dell’emisfero musicale. Difficile categorizzare e parlare di generi per me. Diciamo che sono stato sempre attratto da artisti che riescono ad esprimere la loro umanità ed immaginazione nella loro musica, andando al di là di confini o definizioni teoriche e reali. Credo che tutti i grandi abbiano questa caratteristica. Vedo il ritmo come un mezzo di espressione in continuo mutamento, di pari passo alla pulsazione della vita.
Tra i grandi del jazz a chi ti sei ispirato maggiormente?
Tantissimi artisti, ed alcuni ho avuto anche il piacere di incontrarli di persona e suonare per loro, come nel caso del mio idolo Wayne Shorter. Sicuramente Sonny Rollins, John Coltrane e Miles Davis, ho divorato e consumato i loro dischi. Elvin Jones, Roy Haynes, Tony Williams, Max Roach, Brian Blade, Jeff Ballard, Bill Stewart. Adoro i Police, i Weather Report, Kurt Rosenwinkel, Ravel e tutta la tradizione afro cubana e brasiliana, fra cui gli Yoruba Andabo, Chico Buarque, Milton Nascimento, Hermeto Pascoal e molti altri.
Quali maestri sono stati determinanti nella tua crescita artistica e perché?
Devo tanto a tutti i miei insegnanti con i quali ho avuto il piacere di studiare, confrontarmi e anche collaborare in alcuni casi. Sicuramente quando ero a Napoli Raffaele Di Fenza e Luciano Nini mi hanno dato una forte impronta iniziale, insegnandomi i giusti valori e il giusto metodo con tanta passione. A Napoli la mia seconda casa era l’Otto Jazz Club, di Maria ed Enzo Lucci ed Antonio Sellini. Ero adolescente e non mi perdevo neanche un concerto nei quali spesso si esibivano delle importanti guest provenienti dagli Stati Uniti, ed io davo una mano a sistemare la batteria per i grandi batteristi che passavano per il locale. Ho conosciuto Bill Stewart, Billy Hart, Alex Acuna, Lewis Nash, Gary Novak e tanti altri! Ma ero al primo o secondo anno delle superiori, quindi poi la mattina dovevo recuperare e spesso svegliarmi presto per studiare.
E dopo…
Poi la lista è lunga e davvero di altissimo livello. Ho studiato con i migliori in assoluto ed ancora oggi imparo dai loro insegnamenti: Hal Crook, Danilo Perez, Joe Lovano, George Garzone, Ben Street, John Patitucci, Dave Liebman, Pat Metheny e poi i batteristi, Terri Lyne Carrington, Bob Gullotti, Dennis Mackrel, André Ceccarelli, Ralph Peterson, Bill Stewart, Eric Harland, Greg Hutchinson, Jeff Tain Watts e molti altri.
A Boston c’è una delle migliori scuole del mondo di jazz…
Certo! Prendere una borsa di studio per il Berklee College of Music per me è stato come realizzare un obiettivo che mi ero preposto già da quando ero al liceo. È stata davvero un’esperienza unica sotto tutti i punti di vista, da quello culturale e di vita a quello ovviamente musicale ed artistico. Ho incontrato persone davvero speciali, completamente dedite alla ricerca musicale, di grande onestà intellettuale. È stato come essere proiettato d’improvviso in un mondo parallelo, fatto solo di musica, o almeno lo era per me! Suonavo e mi occupavo di musica nei suoi infiniti aspetti praticamente dalla mattina alla sera, tutti i giorni, e questo per tre anni. Ho instaurato un rapporto davvero speciale con molti insegnanti e studenti, e molti di loro sono diventati fra i miei più cari amici e colleghi, una grande famiglia.
Continua…
In realtà non ero sicuro a cosa andassi incontro e quanto tempo sarei rimasto lì, ma al mio primo semestre venni a sapere di un’audizione per un programma altamente selettivo al quale avevano accesso solo gli studenti dal terzo semestre in poi. Io ero al mio primo semestre, ma chiesi la cortesia di provare lo stesso. Ed è così che fui selezionato a prendere parte al Global Jazz Institute, diretto da Danilo Perez. Quello fu un segnale chiaro e forte, non solo ero al Berklee, ma anche in un programma che selezionava i migliori studenti del Berklee, uno dei college più prestigiosi al mondo.
Un chiaro segnale…
Qui ho avuto anche un chiaro segnale che la carriera musicale esiste, ed è possibile anche ad alti livelli, e può dare grandi soddisfazioni. Ho capito che essere artista può avere tanti significati, ed anche tanti risvolti e facce, e c’è solo l’imbarazzo della scelta nelle direzioni da prendere.
DANIELA VELLANI
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