di SONIA ZACCARIA – IN PRIMO PIANO. Docente di Storia e Filosofia in un liceo di Caltanissetta, tuona su La Voce del Nisseno: “L’Europa faccia sentire forte la sua voce”. I suoi diritti, sono diritti di tutti
Chi è Patrick Zaky? Tutti i suoi colleghi all’università di Bologna parlano di lui, raccontano il suo impegno, il suo sorriso illuminante, i suoi ideali di libertà, democrazia e pace… Zaky in questo momento si trova all’interno di un carcere in Egitto dopo aver subito interrogatori e, secondo i suoi avvocati, dopo essere stato minacciato, picchiato e sottoposto a torture.
Zaky è ragazzo, un ricercatore egiziano, di appena 27 anni, che ha sempre difeso i diritti umani. All’aeroporto del Cairo venerdì 7 febbraio 2020 è stato arrestato con l’accusa di sobillatore di masse e di voler provocare il rovesciamento del governo, di aver pubblicato fake news sui social media minando così l’ordine pubblico e di essere pertanto un terrorista.
In realtà Patrick vive a Bologna dal 2019 dove frequenta il Master Erasmus Mundus in Studi di Genere e delle Donne, sponsorizzato dalla Commissione Europea che coinvolge sette università in sei Stati Membri tra cui l’Università di Bologna: era tornato in Egitto per trascorrere una breve vacanza a casa dei suoi genitori per qualche giorno.
Nessuno di noi sa, però, che in Egitto quando la polizia arresta un dissidente, poi perseguita anche i suoi amici e familiari, che sono più facilmente individuabili attraverso i social, ecco perché questi ultimi hanno dovuto chiudere i profili di Zaky su Facebook e su Twitter. Zaky è un combattente, uno che lottava per i diritti delle minoranze oppresse in Egitto. Sosteneva le comunità cristiane cacciate dal nord del Sinai, a causa dell’avanzata dello stato islamico e sfollate nella città di Ismilia. E poi lottava per i diritti della comunità Lgbtiq: in Egitto questo è un grave reato perseguito dalla legge.
A settembre, Zaky ha pubblicato un articolo in inglese sulle violazioni dei diritti delle persone Lgbt in Egitto, raccontando la violenza contro chi aveva manifestato con una bandiera arcobaleno al concerto della rock band libanese Mashrou’ Leila. La storia del suo arresto è stata raccontata dall’Egyptian Initiative for Personal Rights, l’organizzazione per i diritti umani con cui Patrick lavora come ricercatore.
Quel venerdì mattina, il 7 febbraio, appena atterrato al Cairo, Zaky è stato arrestato dalla polizia, poi condotto a Mansoura ed è stato interrogato sul suo lavoro di attivista, minacciato, picchiato e torturato con scosse elettriche. Patrick ha potuto vedere un avvocato, ma non la sua famiglia subito. Samuel Thabet, uno dei due suoi avvocati ha raccontato che i segni dei pestaggi sul volto erano visibili a occhio nudo. Inoltre Patrick ha dichiarato di essere rinchiuso con altri 35 detenuti all’interno di una cella con una sola latrina, senza alcun rispetto per l’essere umano.
Quando ho letto la notizia dell’arresto di Zaky il mio pensiero è volato a Giulio Regeni perché anche lui raccoglieva informazioni sulle violazioni dei diritti umani in Egitto e le denunciava. Giulio era un dottorando italiano dell’università di Cambridge; venne rapito il 25 gennaio 2016 e ritrovato senza vita il 3 febbraio successivo nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani.
Il corpo di Giulio presentava evidenti segni di tortura, al punto che la madre lo riconobbe «dalla punta del naso» e disse di aver visto nel volto martoriato del figlio «tutto il male del mondo». In particolare nella pelle erano state incise, con oggetti affilati, alcune lettere dell’alfabeto, e tale pratica di tortura era stata ampiamente documentata come tratto distintivo della polizia egiziana; queste evidenze hanno messo subito sotto accusa il regime di AL-sisi.
L’Egitto si palesa come un Paese moderato, mediatore tra Palestina ed Israele, in realtà oggi l’Egitto dimostra di essere ben altro… Ecco perché Patrick e Giulio sono persone “scomode”. La legge egiziana prevede la possibilità di mantenere una persona in arresto senza contatti con l’esterno per tanti giorni, senza che ci sia una vigilanza del giudice, proprio come è successo a Patrick con torture, pressioni psicologiche e altre violazioni dei diritti umani.
Nel novembre 2019 l’Egitto è stato sottoposto all’Esame periodico universale del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, che fa un bilancio della situazione di ogni Paese membro periodicamente: ebbene nel report ufficiale dell’Onu sono state denunciate gravi restrizioni della libertà, 1.500 sparizioni forzate tra il 2013 e il 2018 e migliaia di persone rinchiuse in carcere in maniera preventiva, anche in stato di isolamento.
Nonostante nel 1986 l’Egitto abbia aderito alla Convenzione contro la tortura, la legge non esclude la possibilità di utilizzare le informazioni estorte con la tortura e le sanzioni per i funzionari che praticano tortura che sono assolutamente esigue, quasi inesistenti. Inoltre il processo a carico di Patrick sembra reggersi su presupposti ambigui, costruiti dalle stesse autorità egiziane. In primo luogo, il mandato che ha incriminato lo studente sarebbe stato emesso nel settembre del 2019 ma mai notificato. In secondo luogo, il verbale sarebbe stato falsificato poiché dichiara che il ragazzo è stato arrestato l’8 febbraio in un posto di blocco a Mansoura, la sua città, quando invece è stato accertato che la Sicurezza Nazionale lo ha fermato sin dal suo arrivo all’aeroporto del Cairo, avvenuto la notte precedente.
Questa incongruenza di tempo è proprio il momento in cui Zaky è stato torturato e picchiato selvaggiamente. Inoltre questo tipo di detenzione, per quanto largamente utilizzata da parte della Procura Superiore di Giustizia egiziana, dovrebbe essere applicata, secondo il Codice penale egiziano, solo in caso di flagranza di reato o possibilità che le prove vengano inquinate, invece è stato messo in atto per un ragazzo che ha solo rivendicato l’importanza dei diritti umani. I media egiziani dipingono Patrick come un sovversivo terrorista e “degenerato” omosessuale, che ricordiamo essere, ancora oggi, un reato in Egitto.
Molti giornali nazionali hanno inoltre provato a distogliere l’attenzione dell’Europa dal caso, dichiarando che sarebbe prettamente di competenza delle autorità egiziane poiché riguardante un proprio cittadino. Il giovane non è nulla di tutto questo, è invece uno studente presso l’università di Bologna con un master di matrice europea ed è per questo che proprio l’Europa deve stringersi intorno a Patrick, far sentire forte la sua voce perché i suoi diritti, brutalmente violati, sono i diritti di tutti. Non possiamo rimanere indifferenti. Dobbiamo difendere i diritti umani fondanti l’Europa unita.
Bisogna dire che comunque dopo dieci giorni dall’arresto, l’università Alma di Bologna ha organizzato una manifestazione a cui hanno preso parte il rettore e il sindaco della città. Se quindi nei primi tempi l’ateneo bolognese ha risposto con forza alla vicenda, scrivendo immediatamente un comunicato inter-universitario in cui chiedeva il rilascio immediato del suo studente, non ci sono state però più altre azioni di contrasto di rilievo. Non dobbiamo fare scendere una coltre di silenzio sulla storia di Patrick. Dobbiamo mantenere alta l’attenzione dei mass media.
Le autorità e le società europee sono ancora una volta direttamente responsabili di quello che succederà; se non muoveranno un dito sarà come condannare Patrick all’isolamento e alla morte. Amnesty international Italia ha fatto tanto per Zaky, ha sensibilizzato l’opinione pubblica collaborando con università e scuole, ha chiesto la scarcerazione immediata di Patrick a gran voce ritenendo ingiusto e inaccettabile continuare a perpetrare violenza psicologica e fisica nei confronti di Patrick e continuerà a raccogliere firme, ad informare sulla vicenda di questo giovane fin quando non sarà liberato. Amnesty non si arrende.
SONIA ZACCARIA