Il tuo libro “Martin Luther King: I Have a Dream” – Diarkos Editore – racconta la vicenda personale e politica del leader del movimento per i diritti civili. Perché è attuale?
È la cronaca di ogni giorno a raccontarcelo. Il razzismo, la chiusura verso gli altri, il dramma economico e sociale, la povertà e la guerra sono purtroppo temi attuali ancora oggi in tutto il mondo, non solo in America. Per questo motivo, la parabola del Reverendo King – che ha lottato su tutti questi fronti per tredici anni – è attualissima e può ancora insegnarci molto.
King aveva alle spalle una solida istruzione religiosa…
Quello è stato certamente il punto di partenza. Gli studi teologici, che gli hanno fatto seguire le orme del padre, a sua volta pastore battista, lo hanno formato sotto questo aspetto, tanto che a soli 26 anni aveva già ottenuto di gestire una parrocchia a Montgomery, in Alabama, dove poi è iniziata la sua storia come leader politico. Ma a questi importantissimi studi, il Reverendo ha affiancato anche quelli politici ed economici, garantendosi una preparazione articolata e complessa di assoluto valore.
A tutto questo si aggiunge il valore della non violenza.
Tra gli studi di cui abbiamo appena parlato ci furono anche quelli delle idee del Mahatma Gandhi che aveva guidato la lotta per l’indipendenza dell’India dall’Impero britannico proprio attraverso una applicazione rigida e senza tentennamenti del principio della non violenza. King seppe trasporre quanto fatto in quel lontano Paese alla sua realtà e rispose con questa arma – potentissima – alle brutalità delle istituzioni nei confronti del movimento.
Hai accennato a Montgomery, raccontaci qualcosa.
Nel sud degli Stati Uniti a metà anni ’50 – pare incredibile ma è cosi – esistevano ancora regolamenti e leggi che di fatto garantivano la segregazione razziale. Per esempio a Montgomery bianchi e neri non potevano sedere nella stessa fila sui bus pubblici e si potevano costringere le persone di colore a lasciare il proprio posto ad altri e addirittura a scendere dal mezzo se questo fosse stato troppo affollato. A questo modus agendi si oppose una donna coraggiosa e forte, Rosa Parks, che per la sua scelta venne arrestata e processata. Da lì partì l’idea di boicottare il sistema dei mezzi pubblici, con una mobilitazione che prima non si era mai vista e che ebbe un insperato successo.
La carriera di King è stata fulminante, da quel momento in poi…
Certamente, i motivi per protestare erano innumerevoli e il pregio del movimento di Montgomery, che è riuscito a ottenere la desegregazione dei bus, ha fornito a tutti la motivazione per scendere in piazza e dare un segnale di rivolta, ma pacifica: qualcosa che prima non era mai successa e che ha dato all’intero ambiente una scossa positiva. Certo, ci sono state violenze da parte delle autorità, pestaggi, arresti, ma il movimento ha tenuto duro ed è riuscito a ottenere, anche con l’aiuto della parte più lungimirante e aperta della politica, grandi risultati, come la legge sui diritti civili del 1964 e quella sul voto dell’anno successivo. Tutto questo è valso al Reverendo il Premio Nobel per la Pace nel 1963: all’epoca era la persona più giovane ad averlo ricevuto.
Quale era il “sogno” di Martin Luther King, quello di cui parla il titolo del tuo libro?
La frase è tratta, ovviamente, dal discorso tenuto a Washington nel 1963, al termine della marcia per il lavoro e la libertà del 28 agosto, sotto il memoriale del Presidente Lincoln, quello che aveva dichiarato la schiavitù fuorilegge con il Proclama della Emancipazione giusto cento anni prima, nel 1863. Il sogno di King era quello di vedere questo processo completarsi finalmente, permettendo ai milioni di afroamericani – ma in generale a chi viveva in condizioni di scacco e negazione dei diritti – di condurre una vita dignitosa e felice, come prevede, tra l’altro, la stessa costituzione americana.
Cosa è rimasto oggi del suo insegnamento?
La lotta, come abbiamo detto all’inizio, continua. Oggi la segregazione razziale non c’è più, ma il razzismo esiste eccome! E così le violenze delle autorità, il disprezzo per il povero, il disagiato, il migrante. E la guerra infuria. King ha mostrato a tutti come opporsi a questi orrori, come prendere in mano il proprio destino, affrontando nemici che sembrano soverchianti ma che possono essere battuti, specialmente con armi “non convenzionali” come la non violenza. Un insegnamento che è giusto, sono convinto, tramandare ai più giovani.
ILARIA SOLAZZO
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