«Non la liberarono dalle creature per le quali non c’era più nulla da fare perché dissero di essere tutti obiettori di coscienza». Sono queste le parole di Salvatore Milluzzo, padre di Valentina, morta a 32 anni, al quinto mese di gravidanza, per uno shock settico irreversibile che le aveva già fatto perdere uno dei due feti che portava in grembo”. Lo dichiara Marilena Grassadonia, responsabile Diritti e Libertà di Sinistra Italiana.
“Ora quattro medici dell’ospedale Cannizzaro di Catania sono stati condannati per omicidio colposo perché, nonostante la gravissima setticemia in corso che le aveva già fatto perdere uno dei due feti, non fecero abortire Valentina – prosegue parlando con La Voce del Nisseno (versione online) -. I medici negano, la procura non ha contestato l’obiezione di coscienza come causa del mancato intervento. Ma la famiglia non ha dubbi. La madre, Maria Elena Calamita, ha raccontato in tribunale: «Ricordo le parole del medico di turno: “Fino a quando sento battere i cuoricini non posso intervenire perché sono obiettore…”».
Diciassette giorni di calvario in ginecologia, una giovane donna che non c’è più e tre anni per riconoscere la colpa dei quattro medici che avrebbero potuto salvarla.
“In Italia quasi il 70% dei medici si appella all’obiezione di coscienza, in molte circostanze, anche quando il feto non è più in grado di farcela e a rischio c’è la vita della donna – conclude Grassadonia -. Quante altre storie come quella di Valentina Milluzzo dobbiamo sopportare? Quante altre donne saranno considerate ‘sacrificabili’ in nome di una coscienza che non ha niente a che fare nemmeno con la presunta tutela della vita? Basta! Basta considerare le donne incubatrici sacrificabili”.
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