di MICHELE BRUCCHERI – L’EDITORIALE. Dai nostri padri abbiamo ereditato un mucchio di pietre e il coraggio di sollevarle. Bisogna salvare questo territorio dalla montagna di eternit
C’è un tesoro da risanare. C’è un patrimonio che andrebbe opportunamente bonificato e riqualificato. Tra luci ed ombre, le nostre miniere dismesse sono il nostro “petrolio”. Cercheremo di raccontare le cicatrici, le fragilità e le imperfezioni del nostro territorio. E le sue enormi potenzialità. Ma soprattutto intendiamo alzare l’asticella della sensibilità, istituzionale e dell’opinione pubblica. Come tuona Papa Francesco parlando di ambiente: “Non possiamo più girarci dall’altra parte”. Non si possono sgretolare le nostre aspettative.
Sulle miniere del Nisseno, nel tempo, ho versato fiumi d’inchiostro. Ho scritto numerosi articoli. Uno dei più importanti, a mia firma, risale al 6 maggio 1998 pubblicato sul Giornale di Sicilia. Ricordo l’incipit: “Allarme scorie radioattive anche a Serradifalco”. Gettai la pietra nello stagno. Si sollecitavano le autorità competenti “ad accertarsi della presenza o meno delle scorie nelle miniere inattive del circondario – scrivevo in un pezzo su tre colonne -, in funzione anni addietro e ora abbandonate al loro destino”. “Pare – aggiungevo – che vi siano plausibili sospetti soprattutto a riguardo delle miniere Palo e Spina. In questi luoghi potrebbero, infatti, esserci residui radioattivi”. In maniera articolata, sviluppavo altri concetti e riferivo altre circostanze.
Una settimana dopo, ritornavo – sempre con un articolo sul quotidiano palermitano (ero il corrispondente da Serradifalco) – sull’argomento. Titolo: “Scorie radioattive, scoppia la polemica a Serradifalco”. Il difensore civico pro tempore, esortava ad accertarsi – ribadivo – e a verificare “se, in quelle miniere, vi siano scorie radioattive o, comunque, rifiuti tossici”. Si chiedeva, inoltre, di prendere i necessari e opportuni provvedimenti “con l’ausilio di strumentistica d’avanguardia per la misurazione del grado di radioattività nelle miniere inattive del circondario”. Riportavo anche un “Sos” che partì da Mussomeli da una trentina d’insegnanti (si disse che i casi tumorali, nella zona, erano aumentati) e il primo cittadino di allora affermò che “è necessario un serio monitoraggio del nostro territorio”. Concludevo l’articolo così: “Pare, infine, che la Procura della Repubblica di Caltanissetta, nonché l’Ausl nissena, stiano disponendo una serie di accertamenti in materia”.
Nel marzo dell’anno successivo, era esattamente l’11 marzo 1999, scrissi un altro articolo sulGiornale di Sicilia. “Emergenza inquinamento a Serradifalco? L’ex sindaco del paese, Michele Ninfa, nonché geologo e dunque esperto, chiede a gran voce di bonificare la gigantesca discarica di sali potassici, sita in contrada Bosco e che costeggia il torrente Stincone”, era la parte iniziale a mia firma. Sorvolo su una serie di dettagli e concludevo: “L’ex sindaco di Serradifalco interviene in merito all’indagine della Pretura che ha, di recente, escluso l’esistenza di scorie radioattive sulle miniere di Bosco e di Borgo Palo”. “Quando ero sindaco – dichiarava Ninfa al giornale, ndr – fu sollevato il problema, creando un vespaio di allarmismo ingiustificato. Avevo escluso l’esistenza di scorie radioattive anche perché le due miniere sono allagate e, quindi, non idonee, diciamo, ad ospitare scorie. Ebbi un contrasto con il difensore civico del paese”.
“Ribadisco un concetto che deve far riflettere. Perché – conclude – si vede l’invisibile (scorie radioattive) e non si vede, invece, ciò che è sotto gli occhi di tutti, ossia la grande discarica a cielo aperto di sali potassici di contrada Bosco?”.
Sono partito da lontano per far conoscere – magari a chi ha la memoria corta – che il mio impegno giornalistico anche su questo versante è antico e documentabile. Salto a piè pari su tanti anni di articoli, interviste, reportage e inchieste a mia firma. E arriviamo ai giorni nostri. Ai relitti ferrosi, agli impianti distrutti, agli archivi abbandonati, qualcuno dice anche alle “storie insabbiate”. Ci sono state iniziative – nel tempo – per disquisire sui sali potassici, sulle eventuali infrastrutture per una rete di miniere, sulla riconversione delle ultime maestranze dalle zolfare… Ma soprattutto, da tempo, si parla di “un oceano di amianto, frutto del crollo dei capannoni” dell’impianto minerario di Bosco, a metà strada tra Serradifalco e San Cataldo.
Si tratta di una vera e propria bomba ecologica che mette a repentaglio la salute di quelle comunità e anche di parte del Vallone? Probabilmente sì. Allora cosa si vuole fare di questo patrimonio? Lo vogliamo valorizzare, bonificare, rilanciare? O “intombare”? Quel sito non può continuare ad essere un rudere industriale. Ci vuole un serio intervento di risanamento. Prima che sia troppo tardi. Le nostre miniere, tra luci ed ombre, hanno consentito un benessere diffuso alla nostra popolazione, pagando tuttavia un prezzo molto alto.
Nel settembre 2001, realizzai un reportage sulle miniere. Una vera e propria inchiesta intitolata “Sinfonia della memoria”. Sulle miniere di zolfo e dei sali potassici “che hanno donato benessere economico – gridava l’occhiello – a Serradifalco. Ma anche dolore, mestizia e sofferenza”. Scrivevo, tra le altre cose: “Ci sono, dunque, le miniere disabitate, devastate, talvolta al centro della cronaca in merito a presunti depositi di scorie radioattive”. Un articolo di quasi vent’anni addietro!!! “Cosa Nostra usava dal 1984 le gallerie sotterranee per smaltire scorie nucleari”, raccontò il già mafioso Leonardo Messina, detto Nardo, a Paolo Borsellino, dopo essere diventato collaboratore di giustizia. Era esattamente il 30 giugno 1992, pochi giorni prima che il giudice Borsellino saltasse in aria nella strage di via d’Amelio.
La miniera è stata ed è la nostra Storia. Ci ha dato benessere e dignità, ma bisogna squarciare il velo del silenzio, rimuovere questo brutto stato di abbandono. Principalmente bisogna bonificare le nostre miniere, prima che l’amianto faccia danni letali. Evitiamo il disastro ambientale. Questa situazione sconquassa l’ecosistema. Combattiamo tutti questa dura battaglia per risanare l’ex miniera Bosco. So che ci sono stati incontri tra soggetti istituzionali e dell’associazionismo per discutere della pericolosa situazione ambientale. So di sopralluoghi, della triste consapevolezza che ogni giorno che passa la problematica diventa sempre più complessa e controversa. Quotidianamente la vertenza peggiora e la preoccupazione dei cittadini, per l’incolumità della salute pubblica, aumenta. Esponenzialmente e inevitabilmente.
Di chi è la giurisdizione territoriale dei siti? È una domanda retorica. L’amianto non guarda in faccia nessuno, non chiede i documenti se si è di San Cataldo o Serradifalco o del Vallone! C’è un totale stato di abbandono e di palese degrado. Bisogna estirpare – come ha giustamente ammesso qualcuno – le radici dell’incuria, dell’inciviltà, dello scempio e della speculazione. Bisogna vigorosamente disinnescare questa pericolosa bomba ecologica. Non so se vi sia una correlazione tra queste miniere abbandonate e i casi di tumori che si registrano nel comprensorio. I pareri sono discordanti. Scientificamente non sarebbe mai stato provato nulla. I dati indicherebbero una percentuale superiore alla media, pari almeno al 40%. In passato ho scritto articoli ed editoriali. Questo “ecomostro” nasconderebbe non solo amianto, ma anche dell’altro, si sussurra: cosa? Scorie radioattive, rifiuti tossici, ad esempio? Nel nostro territorio vi sono diverse miniere chiuse, abbandonate; cave di sali potassici e di zolfo, su tutte. La nostra Sicilia ha circa ottocento (761 per l’esattezza) siti minerari ed ha la medaglia d’oro a livello nazionale.
I minatori hanno avuto, in questo territorio martoriato, un grande ruolo nell’economia, un ruolo da attivi protagonisti. Nessuno si è occupato delle tonnellate di amianto, ad oggi. Dalla chiusura – siamo alla metà degli anni Ottanta – il problema eternit è rimasto sulla carta, mai affrontato. L’area è palesemente inquinata. Tant’è che sei anni addietro la Procura della Repubblica di Caltanissetta ha sequestrato quel sito minerario. Imponendo, giustamente, alla Regione Sicilia di bonificarla. Diversi milioni di euro per la bonifica dell’amianto e per riporre gli scarti di kainite. Le nostre miniere dovrebbero diventare una preziosa risorsa e non un pericoloso problema. Dopo ben trent’anni di «spensierato» inquinamento e mancate bonifiche, oggi sono a processo tre funzionari regionali che potrebbero beneficiare della prescrizione. Ci vuole un “colpo di reni”. Bisogna salvare questo territorio dalla montagna di eternit. Da qualche giorno, circolano notizie contraddittorie. Si faccia chiarezza subito. Oggi, noi, accendiamo i riflettori. Ci vorrebbe – a nostro avviso – una gestione sana, creativa e organizzata. Ciascuno però faccia la propria parte.
Concludo con questa frase contenuta in un film: «Dai nostri padri abbiamo ereditato un mucchio di pietre e il coraggio di sollevarle».
MICHELE BRUCCHERI