Lo scorso 20 novembre si è commemorato il trentaduesimo anniversario dalla morte di un grande scrittore siciliano, Leonardo Sciascia, considerato, a ragione, una delle figure e delle personalità più significative ed importanti del panorama culturale del Novecento. Il maestro di Racalmuto è stato, oltre che fine e incisivo scrittore, anche saggista, giornalista, drammaturgo, poeta. In altre parole è stato un intellettuale a tutto tondo, nel senso più nobile del termine. I suoi libri hanno avuto una grande diffusione tra i lettori, distinguendosi per un’acuta rappresentazione della realtà, della vita, della politica. Hanno messo alla berlina vizi e virtù di una società che andava lentamente verso un inarrestabile declino culturale e morale.
La sua scrittura è stata capace di affrontare, con grazia e finanche con leggerezza, argomenti a volte duri, a volte scomodi, spesso complicati. Ha parlato di mafia, di malaffare, ha descritto modi e sistemi di controllo del territorio da parte di organizzazioni che operano nell’ombra contro le istituzioni democratiche, falsando il sistema economico. Ha denunziato il dilagante clima di omertà che si diffondeva con sempre maggiore rapidità dal mondo contadino a quello degli appalti e delle commesse pubbliche, arrivando al controllo del voto di grandi masse di popolazione e, di conseguenza, del risultato delle elezioni.
Il suo romanzo più famoso, “Il giorno della civetta”, pubblicato nel 1961, ha suscitato un enorme clamore, perché, a livello di letteratura, nessuno aveva mai scritto un libro che rivelasse i sistemi mafiosi e il modus operandi di questa organizzazione criminale che si era diffusa nel territorio, tessendo una tela di connivenze, di omertà e di favori, che sarebbe stata difficile da estirpare, come purtroppo è stato poi evidente negli anni successivi.
Il racconto parte dall’omicidio di Salvatore Colasberna, un impresario edile, ucciso dalla mafia per non aver rinunziato ad un appalto in favore di una ditta protetta da Cosa nostra. Ad indagare è il capitano Bellodi il quale, sin da subito, si trova a combattere contro un muro di omertà e contro un silenzio assordante delle istituzioni e della cosiddetta società civile.
Bellodi non crede alla pista passionale e, con caparbietà, porta avanti l’inchiesta fino all’arresto di don Mariano. Ma a questo punto, grazie alla protezione politica di cui gode il boss del paese, tutto torna al suo posto, il capo mafia viene liberato e il capitano è trasferito altrove. Celeberrimo è il dialogo tra don Mariano Arena e il capitano Bellodi relativamente alla descrizione degli uomini: “l’umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, chè mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…”.
Il libro prende spunto da un fatto di cronaca, l’omicidio, per mano della mafia, del sindacalista Accursio Miraglia, verificatosi a Sciacca nel 1947. Il titolo, invero curioso, è tratto dall’Enrico VI di Shakespeare e si rifà alle caratteristiche di questo animale notturno: “come la civetta, quando il giorno compare”. Sciascia si vuole riferire, in questo modo, alle caratteristiche del sistema mafioso, che agiva e tramava nell’ombra, fino a quando non diventò così forte e potente da muoversi alla luce del sole, senza nessun timore, con arroganza, sfidando apertamente le istituzioni.
Allo scrittore di Racalmuto interessa descrivere il clima di grave violenza e di intimidazione messo in piedi dalla mafia nel territorio siciliano, insieme all’omertà del popolo che, di fatto, favorisce l’affermarsi del potere di Cosa nostra. Non manca, nemmeno, un cenno alla connivenza tra politica e mafia, con la prima che copre i crimini dei mafiosi per i propri vantaggi personali, in uno scellerato scambio di favori. In questo modo si crea un circolo vizioso tra mafia e politica, dove gli uni aiutano gli altri, in un sistema finalizzato alla gestione del potere ad uso personale e al controllo del territorio, in spregio delle più elementari regole democratiche.
Purtroppo l’attualità di queste affermazioni è fin troppo evidente alla luce di quanto verificatosi in decenni di lotta alla mafia, con centinaia di attentati e stragi che hanno insanguinato la nostra bella Sicilia e con una gestione e un controllo pressoché assoluti degli affari, degli appalti e delle commesse pubbliche.
Il giorno della civetta diventò anche un film di successo, definito dalla critica come uno dei più bei film sulla mafia. Diretto da Damiano Damiani e girato tra Partinico e Palermo, uscì nel 1968. Protagonista femminile fu Claudia Cardinale, mentre Franco Nero interpretò il capitano Bellodi e Lee J. Cobb don Mariano Arena.
Tra i tanti romanzi e saggi scritti da Sciascia (La morte dell’inquisitore, Il contesto, Todo Modo, Una storia semplice e le raccolte di racconti Gli zii di Sicilia e Il mare colore del vino), ci piace ricordare il sarcastico “A ciascuno il suo” del 1966. La trama si sviluppa come un romanzo giallo: anche qui c’è un omicidio, anche qui c’è la mafia sullo sfondo. Anche qui c’è una fitta rete di omertà che protegge i responsabili. L’autore, con amarezza e con sottile e, a tratti, disilluso sarcasmo, descrive un omicidio legato al mondo della politica ma mascherato da omicidio passionale attraverso uno stratagemma geniale: una lettera inviata all’amico della futura vittima, facendo credere che il destinatario fosse la vera vittima dell’omicidio, con l’evidente fine di sviare le indagini. Anche da questo romanzo venne tratto un film, uscito nel 1967 e diretto da Elio Petri, con Gian Maria Volontè, nella parte di Paolo Laurano e Irene Papas, in quella di Luisa Roscio.
Tanto si è detto e scritto su Sciascia, anche della sua esperienza politica che lo portò ad essere eletto nelle liste del Pci, da indipendente, come consigliere comunale a Palermo (dal 1975 al 1977) e deputato in Parlamento per il Partito Radicale (dal 1979 al 1983). Fu anche membro della Commissione parlamentare di inchiesta sulla strage di Via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro.
Pochi sanno, invece, che Sciascia è stato un protagonista anche dell’ambiente culturale nisseno. Frequentò, infatti, il Magistrale dove ebbe come maestro Vitaliano Brancati, che lo introdusse negli ambienti della “Piccola Atene”, termine coniato da Sciascia per definire lo straordinario ambiente letterario e culturale del capoluogo nisseno in quel fortunato momento storico. Frequentò la biblioteca L. Scarabelli e la storica Libreria Sciascia insieme ad altri intellettuali e letterati dell’epoca.
Spesso si fermava con gli amici presso il Bar Romano dove tra un caffè e un pasticcino si discuteva di letteratura, di arte e di poesia. Conobbe Luigi Monaco, Luca Pignato, Giuseppe Granata. Questo straordinario e irripetibile periodo della sua vita fu ricordato da Sciascia, con evidente nostalgia, nella sua autobiografia dove questi anni vengono definiti come “gli anni più indimenticabili” della sua esistenza.
LEONARDO COSTA
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